Crollo dell'occupazione
Terni fa peggio di Perugia

La foto simbolo dell'interno di una fabbrica
di Giuseppe Croce
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Mercoledì 21 Giugno 2017, 15:59
TERNI Nel 2016 il sistema locale del lavoro di Terni ha raggiunto una popolazione di 180mila unità, con una crescita di oltre 5000 residenti rispetto al 2006. Ma da allora anche il numero dei disoccupati è aumentato di 4200, arrivando a 7600 persone attivamente in cerca di occupazione (alle quali andrebbero aggiunti i tanti che non lo cercano solo perché scoraggiati). Di conseguenza, il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato dal 4,9% del 2006 al 10,1% del 2016 (in leggero calo rispetto al picco dell’11,7% toccato nel 2014).
Questo è quanto è successo negli ultimi anni nel mercato del lavoro locale che comprende le aree dei comuni di Terni e di altri 17 comuni circostanti (Narni, Amelia, Sangemini, Montecastrilli, Stroncone, Acquasparta, i maggiori, Configni e Polino i più piccoli) che compongono il “sistema locale del lavoro” di Terni. Ce lo dicono i dati sui sistemi locali italiani pubblicati proprio in questi giorni dall’Istat. Da questi dati possiamo ricostruire le tendenze del sistema locale di Terni e confrontarle con quelle dei sistemi, ad esso omogenei per dimensione e collocazione geografica, di altri undici capoluoghi di provincia (quello di Perugia, più altri dieci confinanti con l’Umbria, più quello di Roma).
IL CONFRONTO
Il tasso di occupazione del sistema ternano non va oltre il 42,5%. Una quota ben al di sotto della media dei dodici capoluoghi, che è invece pari al 46,1%, e la più bassa tra tutti i dodici capoluoghi di provincia. Come dire che a Terni mancano 5700 posti di lavoro per poter arrivare alla situazione media degli altri capoluoghi. Un tasso di occupazione, quindi, che è inferiore perfino rispetto ai sistemi locali di Viterbo, Rieti e Ascoli Piceno, che certo non brillano per dinamismo economico. Lo era già nel 2006 e continua a esserlo ancora oggi. A tenere basso il tasso di occupazione contribuisce certamente anche l’elevata incidenza della popolazione anziana. Nel 2016 mancavano ancora 2600 posti di lavoro per recuperare il livello precedente l’inizio della crisi, con un’erosione di 2,4 punti percentuali del tasso di occupazione. E possiamo dire che questa è una perdita tutto sommato contenuta se si tiene conto che i dodici capoluoghi hanno perso mediamente 3 punti, e che nel sistema locale di Perugia il tasso di occupazione è caduto addirittura di quasi 6 punti.
La mancanza di lavoro a Terni, quindi, non è, se non in misura limitata, il risultato della crisi globale scoppiata nel 2008 quanto piuttosto un dato strutturale precedente ad essa e persistente nel tempo. Anzi, tra 2014 e 2015, nella fase acuta della crisi dell’Ast, il tasso di occupazione a Terni ha segnato un +1% (mentre nella media dei dodici capoluoghi rimaneva sostanzialmente ferma). Potremmo dire, semplificando, che nell’ultimo decennio Terni ha sofferto più per i suoi problemi storici che per la globalizzazione.
Attenzione, la caduta netta di 2600 posti nasconde, in realtà, molto più ampi travasi di occupazione tra i settori. Il terziario ha in parte compensato le perdite del settore industriale se è vero, come sostengono i sindacati, che sono diverse migliaia i posti persi solo nell’industria e nell’edilizia. C’è una nuova città che sta crescendo e prova a reagire alla crisi, fragile e ancora sfuggente, probabilmente concentrata nel terziario più o meno (soprattutto meno) qualificato. Sarebbe miope, quindi, continuare a proporre ricette industrialiste per il futuro. Forse non tutti si sono accorti che perfino “industria 4.0” coinvolge e, anzi, presuppone come risorse strategiche una molteplicità di servizi avanzati.
Rispetto al sistema locale di Perugia, Terni presenta un divario negativo enorme nei tassi di occupazione, pari a 6,2 punti percentuali. Un vero e proprio “vuoto” di lavoro nell’area ternana. Ma questo divario era perfino più alto, pari a 10 punti nel 2006. Sono dati, questi, che mostrano tutte le clamorose differenze strutturali tra le economie di Perugia e Terni, con buona pace di chi decanta fantasiose omogeneità territoriali come viatico al progetto verticistico di accorpamento di Umbria, Toscana e Marche in un’unica macroregione. Nell’ultimo decennio il dualismo tra le due città capoluogo si è solo marginalmente ridotto, ma soltanto perchè anche il capoluogo regionale è affondato perdendo 7000 posti di lavoro a partire dal 2008.
LA TENDENZA
Anche rispetto al sistema locale di Roma, Terni mostra un forte ritardo occupazionale, con un tasso di occupazione 5,8 punti più basso. I dati mostrano, in modo forse sorprendente, che il sistema locale di Roma, con una popolazione totale in aumento di oltre 400mila unità in undici anni, dal 2013 è in crescita anche per quanto riguarda il numero di posti di lavoro creati (dei quali, tuttavia, non è dato conoscere la qualità per quanto riguarda ore lavorate e redditi), tanto che ha recuperato quasi per intero il tasso di occupazione pre-crisi. È assai probabile, quindi, che se si consolideranno queste tendenze, aumenterà nei prossimi mesi e anni la forza attrattiva di Roma sull’offerta di lavoro residente a Terni, con un aumento del pendolarismo, che si confermerebbe risorsa sempre più strategica per la tenuta dell’area ternana (ben più dell’area di crisi complessa). Inoltre, in queste condizioni, il divario fortissimo dei prezzi delle abitazioni tra Terni e Roma, potrebbe perfino ampliarsi e attrarre residenti da Roma. Potremmo assistere, quindi, a un doppio movimento: da Terni verso Roma per lavoro, da Roma verso Terni per risiedere.
A qualcuno questo scenario potrebbe evocare l’incubo della città-dormitorio. Più realisticamente potrebbe rappresentare un parziale sollievo al declino dell’Umbria meridionale, un modo per riempire il doppio vuoto di lavoro e di popolazione residente. Di sicuro, però, non può essere questa la via allo sviluppo.
 
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