Rudy Guede di nuovo in Umbria: «Il mio unico peso? Avrei potuto salvare Meredith e la paura mi ha fatto fuggire»

Rudy Guede di nuovo in Umbria: «Il mio unico peso? Avrei potuto salvare Meredith e la paura mi ha fatto fuggire»
di Egle Priolo
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Domenica 20 Novembre 2022, 09:09 - Ultimo aggiornamento: 09:52

PERUGIA - «Quella notte avrei voluto fare di più, andare per strada, urlare, magari chiamare un'ambulanza. Purtroppo avevo 20 anni e la paura mi ha spinto a scappare via». Così Rudy Guede ieri sera ha raccontato la notte del primo novembre 2007, quando nella casa di via della Pergola ha sempre detto di aver trovato il cadavere di Meredith Kercher.

Unico condannato per l'omicidio, 16 anni di sentenza e qualche mese in meno passato nel carcere di Viterbo, ora va in giro per l'Italia a presentare il suo libro “Il beneficio del dubbio, la mia storia”, che ha presentato a Bastia, durante Fa' la cosa giusta negli spazi di “Economia carceraria” con Carmelo Musumeci e il coautore Pierluigi Vito. Prima di incontrare il pubblico, non si è negato alle interviste, raccontando la sua vita dietro le sbarre, la laurea, gli scacchi e ora la nuova esistenza da uomo libero. «Adesso – ha spiegato - sono una persona che ahimè è maturata tra le mura carcerarie. La cosa che mi ha fatto più male? Essere risucchiato in una vicenda più grande di me e in un vortice giudiziario nel quale mi sono visto descrivere come non ero. Il libro nasce per parlare per la prima volta di me stesso e permettere di far conoscere chi sono veramente». «Non voglio fare la cronistoria di quella che è stata la vicenda processuale e la situazione che ho vissuto – ha sottolineato Guede, che ormai vive e lavora a Viterbo -, però ci tenevo a far presente alcune cose, a far conoscere alle persone alcune cose. Quando si entra in carcere ci si porta dietro un bagaglio. Il mio era questo: ho subito una condanna, non sono stato creduto dai giudici, ma gli stessi giudici hanno riconosciuto che ho soccorso Meredith e poi hanno riconosciuto che non ho impugnato io il coltello, che non ho ucciso io Meredith».
E ancora: «Non c’è giorno in cui non pensi agli anni che ho vissuto e a Meredith, mi porto dentro un peso che è quello di non aver fatto il possibile per soccorrerla.

Non so se le cose sarebbero andate diversamente, ma potevo fare qualcosa. Questa è la mia colpa, è il mio peso. Negli anni ho trovato il modo di assumermi le mie responsabilità ed è per questo che riesco a parlare con le persone in strada». «Io – sono le sue parole - ho avuto la fortuna di avere vicino a me persone care e questo non succede sempre, non succede a tutti. E di questo ho un'esperienza diretta: il mio compagno di stanza in carcere l'ho trovato impiccato. Era la persona con la quale trascorrevo 24 ore su 24 metri, in uno spazio di 3 metri per 2. Ha compiuto quel gesto perché era solo, perché non aveva nessuno. Io invece ho avuto la fortuna, prima di tutto, di sentirmi libero da ciò di cui ero accusato, e poi di essere protetto da un calore familiare che, purtroppo, in carcere non è concesso a tutti».

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