Mister Pochesci si racconta
«La mia vita sempre in salita»

Mister Pochesci si racconta «La mia vita sempre in salita»
di Alberto Favilla
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Giovedì 14 Dicembre 2017, 16:16 - Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 15:28
È tempo di Natale ma lui, Sandro Pochesci, 54 anni, allenatore di calcio, non viene da Betlemme ma da Rocca di Cave, un piccolo Comune di appena 400 anime, sopra Palestrina, in provincia di Roma. Non è mica Gesù, allora, ma per i tifosi della Ternana, almeno la stragrande maggioranza, è quasi un Messia, o, perlomeno, il nuovo profeta del calcio italiano. In verità ci sono anche quelli che lo criticano, qualcuno lo detesta anche, ma sono pochi. Di sicuro non per una questione tecnica che la Ternana giochi bene al calcio è un dato oggettivo - ma per il suo modo di proporsi, di esternare le sue idee, di caricare i suoi pensieri. Ad inizio di stagione disse, ad esempio, che Zatlan Ibrahimovic, il grande centravanti del Manchester United, non era funzionale al suo calcio! Per lui, e questo è certo, o è bianco o è nero.

IL GRIGIO NON ESISTE
Insomma, per Pochesci il grigio non esiste. Ma chi è in realtà l'allenatore della Ternana? A raccontarcelo è proprio lui, passeggiando per le vie del centro in una giornata di pioggia battente, seguito da un codazzo di tifosi che lo riconoscono subito e lo invitano a non mollare. «Sono una persona normale che ha messo sempre davanti a tutto la lealtà, i veri valori della vita, a cominciare dalla famiglia. Mio padre Luigi, eravamo sei fratelli - uno è morto presto - per farci vivere faceva il netturbino mentre mamma Elvira è sempre stata casalinga. Detesto gli invidiosi e i falsi e forse è proprio per questo la mia vita è sempre stata in salita».

LA CARRIERA
Una discreta carriera da calciatore, un buon centrocampista, un tipo alla Tardelli dice lui, in giro per i campi romani di terra battuta, poi l'ultimo anno da giocatore-allenatore nel suo quartiere La Borghesiana. «Feci proprio io il gol vittoria che ci regalò la promozione, ma l'anno dopo accettai l'offerta del Tor Bella monaca in Eccellenza. Furono tre anni straordinari, giocavamo con tutti ragazzi del quartiere e la domenica mattina, quando c'era la partita, al campo veniva tutto il quartiere». Dal Tor Bella Monaca il gran salto in serie D, a Guidonia, poi finalmente il salto nei professionisti; è la stagione 2005-06 a Viterbo.

IL SALTO IN D
«E allora decido di licenziarmi dall'ospedale Grassi di Ostia dove lavoravo al reparto dialisi per dedicarmi solo al calcio, l'unica passione della mia vita». Dopo Olbia, Civita Castellana, ancora in serie D. «A Civita, nella mia squadra, presidente il vulcanico Ciappici, c'è un bravo ragazzo, di Roma, si chiama Alessio Ranucci, Conosco il papà con il quale nasce un rapporto di amicizia e grande stima. Lui lavora, è un dirigente, all'Università Unicusano, e parlo del nostro attuale Presidente: in poco tempo mi farà conoscere patron Stefano Bandecchi, l'uomo che ha cambiato la mia vita e che mi diceva che correre dietro ad un pallone era inutile». Ma facciamo un passo indietro. All'infanzia di Sandro Pochesci. «Avevo 17 anni anni quando ad un a festa, a Borgata Finocchio, era una domenica, conosco una ragazzina stupenda di nome Patrizia. Aveva 14 anni e subito scocca la scintilla, è amore a prima vista. Le prometto che diventerà mia moglie cosa che puntualmente avviene nel 1987. Patrizia mi regalerà, è l'anno 1989, mio figlio Cristian». Una vita quella di Pochesci che non è stata tutta rosa e fiori. Tutt'altro. Il dramma della vita è in agguato. «Ero sposato da circa tre anni e ancora giocavo a pallone. Cristian aveva 15 mesi quando avvenne la disgrazia. Ero tornato da una trasferta dove avevo vinto con la mia squadra, con un mio gol. Lei, mi ricordo bene, mi preparò una grande cena per festeggiare, poi ce ne andammo a dormire tutti e tre insieme. Intorno alle una di notte lei si svegliò, si sentì male. Il tempo di stringerla e mi mori tra le braccia e il pianto dirotto di Cristian. Aveva solo 23 anni Patrizia. Mi dissero che la causa improvvisa del decesso fu il prolasso della valvola mitrale. Per anni l'ho vista dappertutto. Mi sembrava di vederla ad ogni angolo, in ogni negozio. Vedevo solo lei».

I RICORDI E LE FERITE
Ma torniamo ai giorni nostri. Il rapporto con l'Unicusano diventa sempre più stretto.
Nel 2014 Bandecchi, intanto, ha acquistato il Fondi il patron lo chiama a guidare la squadra laziale. «Bandecchi che sapeva che ero malato di calcio mi disse che in cinque anni mi avrebbe portato ad allenare in serie A. manca solo l'ultimo gradino, l'ultimo passaggio. Lui è un uomo che crede molto nelle persone, nei veri valori della vita. Personalmente mi ha fatto crescere molto. Io credo di averlo fatto innamorare del calcio. Vederlo allo stadio, quel giorno al Liberati contro il Venezia, è stata per me una grande emozione».

BANDECCHI E RANUCCI
E con il Presidente Stefano Ranucci, qual è il rapporto? «Di grande stima e rispetto. Lo devo anche a lui se sono qui ad allenare la Ternana. Con il Presidente parlo molto. Dice che sta studiando il gioco del calcio e debbo dire che è vero. Sta diventando un intenditore».

LA VITA PRIVATA
Sandro Pochesci attualmente ha una compagna, una donna siciliana di nome Sara. «E' dal 2001 che mi sopporta. Lei è il mio termometro. Nelle difficoltà c'è sempre, pronta a calmarmi e ad aiutarmi. E' importante per me». E con Cristian, tuo figlio, come vanno le cose? «Lui è un disastro, ogni settimana mi presenta una ragazza e io mi affeziono. Poi la settimana successiva eccone un'altra. A lui dico sempre che è nato principe». E con la città di Terni, e con i tifosi, qual è il rapporto? «Ottimo. Amo la città e la vivo intensamente. Ogni volta che facciamo gol penso a loro, ai nostri tifosi. A loro voglio regalare un sogno. Il Perugia? Non lo allenerei mai, fosse l'ultima squadra al mondo».
 
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