«Il piccolo Alex ucciso a due anni con una violenza inaudita dalla madre». Le motivazioni della sentenza che ha condannato Katalina Bradacs a venti anni di carcere

Il piccolo Alex con la mamma assasina
di Enzo Beretta
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Mercoledì 13 Settembre 2023, 06:55

Quando Katalina Erzsebet Bradacs «si è resa conto di aver definitivamente perso la controversia per l’affidamento del figlio che avrebbe dovuto riconsegnare al padre una volta tornata in Ungheria ha deciso di uccidere Alex accoltellandolo nei pressi di un rudere». Ha aggredito il piccolo di due anni «con una violenza inaudita, una serie di coltellate portate in rapida successione, alcune delle quali talmente violente da trapassare letteralmente da parte a parte il corpo del bimbo, prima che la lama del coltello da bistecca prelevato dall’abitazione di un suo amico si rompesse urtando contro il terreno incolto del luogo del delitto». Mette i brividi la sentenza della Corte d’assise di Perugia che motiva la condanna a 20 anni di carcere inflitta alla 46enne ungherese che il 1° ottobre 2021 ha assassinato senza pietà il proprio figlio con sette fendenti. «Subito dopo l’accoltellamento ha mandato le foto del piccolo all’altro figlio - ricostruiscono i giudici Carla Giangamboni ed Edoardo Esposito - «chiaramente per mostarre che lo aveva ucciso, ha chiamato il 112 dicendo che il bambino era ‘pieno di sangue’ e ‘quasi morto’ per poi entrare al supermercato Lidl e deporlo sulle casse, tentando di sviare le indagini su un ipotetico ‘uomo nero’ ritenuto responsabile dell’insano gesto».

Stando a quanto ricostruito dai magistrati nelle 43 pagine di motivazioni l’imputata «fin dal momento in cui in Ungheria ha preso avvio la causa civile per l’affidamento del figlio ha manifestato in ogni modo la propria assoluta opposizione a che Alex venisse affidato al padre: ha cambiato frequentemente domicilio, così da non farsi trovare dagli operatori dei Servizi, minacciando che avrebbe ucciso il bambino se fosse stato affidato al padre e dando mostra, in questo contesto, di una rabbia incontenibile derivante dalla situazione in corso». Ancora: «Dagli atti relativi al procedimento ungherese emerge più la pervicace volontà di veder frustrate le aspirazioni del padre Norbert Juhazs che un reale attaccamento al bambino.

Nel momento in cui decide di partire per l'Italia, Paese in cui aveva lavorato come spogliarellista e pornostar, e dove confida di poter riallacciare precedenti contatti e portare il bambino con sé, non è realmente convinta di dover proteggere il piccolo Alex da abusi che potrebbe subire restando con il padre ma vuole solo sottrarglielo, con ostinazione. Lei - prosegue la sentenza - non ha mai mostrato affettività verso il figlioletto, limitandosi a lavarlo, cambiarlo e nutrirlo con puntualità, senza mai coccolarlo, ma di contro rabbia ai suoi pianti e ai suoi capricci. Nel suo girovagare appare evidente, ad avviso di questa Corte, come per lei il piccolo Alex fosse ormai nient'altro che una ‘cosa’ di sua proprietà che non intendeva a nessun costo cedere ad altri». Secondo la Corte d’Assise l’ungherese «al momento di uccidere il figlio era perfettamente in grado di comprendere cosa stesse facendo. Il delitto è stato il punto terminale di una scelta già ponderata».

Insomma, «il comportamento omicida dell'imputata non è ‘comparso dal nulla’ perché l'imputata aveva ventilato in un'occasione, anche alla presenza dei servizi sociali ungheresi, l'ipotesi di nuocere al bambino minacciando di dargli fuoco o, comunque, minacciando che piuttosto che dare il bambino al padre avrebbe commesso gesti estremi». Perciò «deve escludersi che i disturbi di personalità di cui è affetta (disturbo borderline e depressivo) abbiano influito sulle capacità cognitive al punto di impedirle di rendersi conto del significato e del disvalore della propria condotta». I giudici, «stante il riconoscimento del vizio parziale di mente», hanno stabilito che a pena espiata dovrà essere ricoverata in una casa di cura e custodia per almeno tre anni.

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