Basti pensare che al tribunale penale di via XIV Settembre è agibile una sola aula, la E, quella nuova e con le finestre. Per le altre si resta ancora in attesa dell'ok della Asl anche solo per gli impianti di areazione non a norma, senza considerare le volte in cui si sono allagate o sono crollati i controsoffitti. Considerando anche che sono tutte interrate e senza finestre. E che fuori dalle porte (delle aule A e B, per esempio) spesso stazionavano anche 40 persone.
Ci sarebbe anche l'Aula degli Affreschi a palazzo del Capitano del popolo, come sottolineato pure dal presidente del tribunale Mariella Roberti nell'ultimo protocollo sulle misure anti-Covid (al centro di una discussione con l'Ordine degli avvocati e quindi magari da affinare), se non fosse che la Corte d'appello ha già considerato l'aula al -2 di piazza Matteotti il suo piano B per le udienze che non si possono celebrare nella Goretti o che hanno bisogno delle dotazioni per i processi da tenere da remoto, su Microsoft Teams. Senza dimenticare che le udienze a distanza, con tutta la buona volontà, sono complicate: è tutto un «Mi sentite?», «Segnale perso, diceva?». Un delirio. Anche solo per le direttissime, figurarsi in un processo con testimoni.
E il civile? Aule sottotetto e corridoi strettissimi, problemi di sempre.
Non è certo il momento storico di tirar fuori il progetto della cittadella giudiziaria, ma il problema è reale e forse di difficile soluzione anche a voler immaginare soluzioni molto alternative, scatenate dal dibattito, come il ripristino dell'archivio della Corte d'appello in aula per le udienze.
E allora che si fa? Al momento si aspetta. Soprattutto una linea guida, magari dal Ministero della giustizia, per evitare scelte disomogenee tra tribunali e sezioni, con gli avvocati a districarsi tra i vari protocolli, diversi pure dalle altre città. Il federalismo della legge uguale per tutti.
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