Davide ucciso a caccia, Fabbri dal carcere: «Portatemi sul Subasio e vi dico come è morto»

Piero Fabbri e Davide Piampiano
di Enzo Beretta
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Mercoledì 8 Febbraio 2023, 17:07

ASSISI - Piero Fabbri, il muratore che l’11 gennaio ha sparato un colpo di fucile all’amico Davide Piampiano, depistando le indagini e custodendo un segreto più grande di lui non soltanto con i genitori del 24enne ma perfino con la moglie, chiede di tornare sul luogo del delitto. Lì, al Fosso delle Carceri, sui monti del Subasio, dove per errore ha esploso un colpo di fucile credendo si trattasse di un cinghiale. Poi, però, quando si è accorto che era Davide, non potendo immaginare che la GoPro della vittima registrasse ogni suo movimento, ha alterato la scena del crimine preoccupandosi di scaricare la carabina di Davide senza però avvisare i soccorsi. È di pochi giorni fa l’istanza attraverso la quale il suo legale, l’avvocato Luca Maori, chiede al gip di disporre «un incidente probatorio cui partecipino, necessariaremente, l’indagato e personale specializzato».

Un accertamento «del tutto necessario per procedere alla ricostruzione dell’effettiva dinamica dell’accaduto, in particolare al fine di individuare l’esatta posizione dell'indagato al momento dell’esplosione del colpo», quindi «consentire così di rinvenire il bossolo della cartuccia esplosa». «Soltanto lui può dirci esattamente come sono andati i fatti - spiega il penalista -. Nessuno a parte Fabbri sa da quale direzione è partito il colpo e dove si trovi il bossolo». Già, il bossolo. L’area boschiva è stata passata al setaccio con cani e metal-detector ma non è stato trovato. Dov’è finito? L’ha fatto sparire l’assassino per allontanare da sé i sospetti? Il suo avvocato è sicuro che la cartuccia sia ancora lì, ma che non sia stata trovata. Stando alla ricostruzione fornita dal muratore al suo legale il colpo è stato esploso da una distanza di 25, al massimo 30 metri.

Davide, scambiato per un cinghiale, si trovava sopra un terrapieno, a un’altezza di quattro o cinque metri da Fabbri che ha alzato la canna e fatto fuoco.

Il colpo lo ha centrato perforandogli il fegato: l’agonia ha preceduto la morte. E tutto questo si sa grazie alla GoPro che Piampiano aveva attivato appena tre minuti prima del colpo di fucile. A quel punto, Fabbri, essendosi accorto dell’errore - è sempre la versione fornita - si è arrampicato con una corda per raggiungere il giovane morente. «L’esatta ricostruzione - prosegue Maori - è possibile solo qualora venga dato seguito all'esperimento giudiziale, alla necessaria presenza dell'indagato, poiché la sua presenza consentirebbe di ricostruire la vicenda offrendo chiara spiegazione delle azioni cristallizzate dalle videoriprese, fugando dubbi e criticità rispetto a ricostruzioni indiziarie e presuntive, seppur ancorate ai dati d'indagine acquisiti». «Le risultanze derivanti dall'accertamento - conclude il penalista - qualora disposto consentirebbero di acquisire elementi utili e fondamentali al fine di orientare il grado della colpa». 

In questi giorni Maori ha pure chiesto al Riesame di annullare la misura cautelare in carcere per il suo assistito, accusato del reato di omicidio volontario con dolo eventuale. Sono tre i motivi del ricorso: viene contestata l’«errata qualificazione dell'ipotesi di reato» da intendere, nell’ottica difensiva, «nella colpa anziché nel dolo eventuale». Si passa quindi alla questione legata all’«assenza delle esigenze cautelari, anche e soprattutto all’esito dell’interrogatorio di garanzia»; vengono ritenute «apodittiche le ragioni legate alla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato e infondate quelle riferibili al pericolo di inquinamento probatorio». Infine la difesa contesta «la proporzionalità e l’adeguatezza della misura custodiale», riservandosi di «integrare i motivi» nell’attesa di svolgere «attività d'indagine».

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