La musica è diventata "democratica": come playlist e social hanno cambiato i gusti degli ascoltatori

(Foto di Paolo Rizzo/Ag.Toiati)
di Alessandro Di Liegro
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Mercoledì 13 Settembre 2017, 20:32
La musica si è fatta democratica: merito dello streaming e del mutamento dei metodi di fruizione della musica, grazie alla digitalizzazione. Ne hanno discusso alcuni degli esponenti della filiera musicale – Danieme Menci di Sony, Dario Giovannini di Carosello Records, Enzo Mazza della Fimi e Francesco Bacci della band Ex Otago – nel panel “Social Music – indie and mainstream: is there any difference anymore?” in programma alla Social Media Week.

Il primo e più evidente dato emerso durante l'incontro riguarda le differenze tra quella che era definita musica “indipendente”, per definizione rinchiusa in una nicchia di ascoltatori, e il “mainstream” di più vasta portata: «Le differenze di genere sfumano, oggi. Attraverso le playlist degli utenti vediamo brani di generi diversi associati in modo indipendente, al contrario di quello che faceva un purista o un collezionista che si focalizzava su un genere. Sono modelli che stanno mutando radicalmente», afferma Enzo Mazza di Fimi, appoggiato dall'opinione di Francesco Bacci che non fa più distinzione tra indie e mainstream, approfittando di un paradosso proprio della musica indipendente: «Indipendente da chi? Da cosa? L'ideale sarebbe riuscire a pensare in modo indipendente, ma fare numeri mainstream. Quello è il sogno di ogni musicista».

In questi anni, con un aumentato consumo musicale e una maggiore popolarità della musica, con un più semplice accesso ai contenuti, è il consumatore ad essere al centro delle riflessioni degli addetti ai lavori, anche eliminando ogni tipo di categoria che in passato imponevano i media tradizionali: «La musica è più democratica perché chiunque può accedere ai contenuti e scegliere cosa ascoltare. Senza alcuna imposizione passiva ma in modo proattivo» spiega Daniele Menci di Sony Records.

In questo mettere al centro l'utilizzatore finale del prodotto musicale, il tema dei social è quanto meno nodale, dato che è proprio lì che si crea la discussione e che permette l'interazione diretta tra artista e fan: «Noi come Ex Otago non siamo proprio ferrati con i social – afferma Bacci - In termini generali paga la schiettezza. Io seguo il canale Instagram della band, e un buon modo per utilizzare i social è sfruttare i diversi linguaggi in diversi momenti fra foto più istituzionali e più intime». Di tutt'altro avviso è Dario Giovannini di Carosello Records: «Non guardo i social, se dovessi dar conto a quello che dicono 100 persone su Facebook non dovrei fare più il mio mestiere. Do' piena libertà ai miei artisti – tra cui i Thegiornalisti – di utilizzarlo con l'unico avvertimento di non rispondere agli haters».

Se il mutamento della fruizione musicale ha imposto un ripensamento delle decisioni strategiche dell'industria, dal punto di vista del saldo economico vi è una piccola ripresa della scena, dovuto al maggiore consumo di musica, grazie proprio alla sua facilità e libertà di accesso: «Non siamo certo ai livelli di 15 anni fa – dice Menci di Sony Music – ma penso che 10 anni fa un artista come Bacci, degli Ex Otago, per i numeri che c'erano durante la crisi, non avrebbe potuto partecipare a questo panel. Il grande sforzo che dobbiamo fare è sul trovare il modello economico sostenibile per investire». Allo stesso modo Giovannini: «Oggi è cambiato tutto e non si è ancora raggiunto un balance che permetta a noi di investire soldi. Io fra 5 anni non so se sarò ancora in grado di reggere questa struttura e questo modello di business. Spotify, che è la piattaforma di streaming che ha un po' il monopolio in Italia, continua ad avere remunerazione bassissima».

A testimoniare la realtà democratica della musica, l'esempio è quello del genere trap che, a dispetto di una totale assenza nei media tradizionali, ha numeri altissimi nello streaming, portando band come la Dark Polo Gang o Ghali a essere presenti nelle classifiche di vendita con percentuali del 70 o dell'80% grazie allo streaming e, addirittura – come nel caso del “trapper” milanese – portando 30mila nuovi utenti in più a Spotify: «Stanno seguendo il tracciato dell'ultima ondata di rapper come Fedez o Emis Killa 7 o 8 anni fa – dice Giovannini – che non sapevano cosa fosse la radio. Anche questi ultimi artisti basano i loro grandi numeri sulla fanbase ed è possibile che Carl Brave X Franco126, un duo romano, facciano 6mila persone a Milano».
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