Paolo Nespoli: «Di nuovo in orbita per aiutare la lotta contro l'osteoporosi»

Paolo Nespoli: «Di nuovo in orbita per aiutare la lotta contro l'osteoporosi»
di Paolo Ricci Bitti
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Giovedì 27 Luglio 2017, 13:52 - Ultimo aggiornamento: 2 Agosto, 01:39
Per quanto giovane e inesperto sia l'astronauta che potreste trovarvi di fronte non ditegli mai: «Parti per la prima missione,  vai a farti le ossa nello spazio?». Meglio evitare metafore, in questo caso: nonostante i progressi della medicina spaziale resta infatti parecchio serio il problema dell'indebolimento delle ossa in assenza di gravità. Soprattutto all'avvicinarsi del nuovo balzo dell'esplorazione del sistema solare che, nel giro di 30 anni, porterà l'uomo su Marte.
 
 


«Già, lo studio del difficile adattamento dello scheletro alla microgravità dell'Iss sarà uno dei temi nella mia prossima missione. E proprio in questi giorni stiamo iniziando analisi e prelievi per confrontare i parametri prima e dopo il “viaggio”», dice Paolo Nespoli, astronauta dell'Esa e dell'Asi, maggiore dell'Esercito, ingegnere aerospaziale, protagonista di missioni nel 2007 e nel 2010/2011, ora a Star City a Mosca in pieno training. Marito di Alexandra e padre di due figli, avrà appena compiuto 60 anni quando l'anno prossimo decollerà da Bajkonur per la sua terza avventura in orbita.
Lei sembra in forma come un trentenne, ma avrà 60 anni...
«Lo so, lo so che questa età suscita un certo effetto, ma intanto l'americano John Glen è tornato in orbita a 77 anni e poi nelle nostre selezioni contano di più esperienza e competenza tecnica».
 


Giusto, e così durante la sua missione di lunga durata, sei mesi, lei farà la cavia anche per aiutare lo studio sull'indebolimente delle ossa che, tra osteoporosi e altre patologie, riguarda cinque milioni di “terrestri” italiani, a iniziare dalle donne in menopausa.
«Gli astronauti sulla Iss sono al tempo stesso scienziati e cavie. E, anche se fa parte dell'aneddotica dire che per l'invecchiamento delle ossa un mese nello spazio equivale a un anno sulla Terra, è vero che la meravigliosa capacità di adattamento del corpo umano innesca conseguenze potenzialmente pericolose per chi fa il pendolare fra i due ambienti».

Spieghi, per favore.
«In brevissimo tempo il corpo umano, senza che nessuno glielo dica, quando si trova nella microgravità della stazione spaziale destina meno attenzione a particolari parti soprattutto dello scheletro che lassù servono meno. Il calcagno, il trocantere del femore, la colonna vertebrale, ad esempio, sono meno sollecitati e quindi la loro densità tende a diminuire proprio come avviene con l'osteoporosi.

Lei risulta essere una buona cavia.
«Già, in sei mesi di missione avevo perso “solo” il 4% del peso dello scheletro, ma ne servono comunque altrettanti di riabilitazione a terra per tornare in piena forma. Durante questi due anni di preparazione veniamo sottoposti a periodici prelievi per monitorare le condizioni delle nostre ossa e confrontare i risultati con quelli post missione».
Non è che questa facilità di adattamento del corpo umano allo spazio deriva da una nostra origine extraterrestre, insomma, si tratta di un ri-adattamento? Quanto aiuterà la sua esperienza a sostenere la lotta a questa malattia sempre più diffusa?
«Bella e suggestiva domanda che mi sono fatto tante volte anch'io: è un tema che ci porta lontano. Del resto non tutto è stato ancora chiarito del nostro corredo genetico. Nella prospettiva di lunghi viaggi verso altri pianeti c'è quindi l'esigenza di contrastare questo indebolimento delle ossa sottoponendoci ad almeno due ore di “sport” al giorno sull'Iss e di integrare la dieta con calcio, che nello spazio viene espulso in quantità maggiori nelle urine, proteine e vitamina D. Quest'ultima, indispensabile per fissare il calcio alle ossa, serve anche a contrastare la mancanza di esposizione alla luce solare diretta. Infatti oggi la maggior parte delle donne over 60 integra la dose di vitamina E».

Anche il centro di controllo ricordava al maggiore Tom di «prendere le pillole di proteine» in “Space Oddity” di David Bowie...
«Ogni attività nello spazio innesca enormi benefici anche per chi non fa l'astronauta, la scienza progredisce più in fretta. Pensiamo che solo in Italia si contano 85mila fratture di femore soprattutto tra chi ha più di 60 anni».

In primaverà atterrerà Scott Kelly, suo collega americano, dopo un anno sull'Iss.
«Sarà interessante raffrontare anche i suoi parametri ossei con quelli del fratello gemello Mark, astronauta pure lui, restato sulla Terra».

Dopo questo viaggio spaziale Scott dovrebbe risultare, secondo il paradosso dei gemelli di Einstein, per quanto sempre più confutato e inoltre basato su astronavi veloci quasi quanto la luce, più giovane del gemello?
«(ride) Sì, molto confutato, ma hanno lo stesso fatto i calcoli: un millesimo di secondo più giovane. Diciamo che a occhio non si dovrebbe notare».
(3 febbraio 2016)