Jonathan Zdziarski, esperto di sicurezza su iOS, ha fatto una serie di test su un iPhone e studiato i backup locali e remoti. È saltato fuori che pezzi di testo (le cosiddette “tracce forensi”) restano nel database dell’app anche dopo l’eliminazione. Strumenti software pensati ad hoc, quindi, sono in grado di recuperare anche intere chattate. La questione ritorna sul problema posto sin dal principio, quando le autorità avevano espresso non poche perplessità circa il veto da parte di WhatsApp, e quindi di Facebook che l’ha inglobata, di intercettare le conversazioni: la privacy va tutelata, ma nella conduzione di certe indagini, i messaggi possono essere la svolta per gli inquirenti. Zdziarski ha spiegato che l’impasse risiede nel database che WhatsApp usa per gestire la cancellazione di testi e immagini.
Si chiama SQLite e non rimuove istantaneamente gli elementi ma li inserisce in una lista rendendoli sovrascrivibili: soltanto quando al loro posto vengono “salvati” nuovi messaggi, quelli archiviati saranno cancellati. Il che vuol dire che più lunghe sono le conversazioni eliminate per intero, più difficile sarà sbarazzarsene perché la sovrascrittura richiede un arco di tempo maggiore. Tuttavia, non esiste una tempistica universale: conversazioni risalenti a pochi giorni prima, paradossalmente, potrebbero sparire più in fretta di quelle cancellate da mesi. Il problema riguarda, comunque, tutti i sistemi che usano SQLite come database (anche l’app di messaggi Apple, ad esempio). E non c’è niente che WhatsApp possa fare.
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