Nel gioco si vestono i panni di Max, si guidano potenti automobili assemblate con rottami di ogni genere ed equipaggiate con armi rozze ma terrificanti. Il tutto in un mondo polveroso e desertico, chiamato Wasteland, straziato da una guerra perenne tra fazioni selvagge che lottano per il dominio e dove la vita umana non ha alcun valore. Uno scenario alienante che ricorda molto Borderlands, titolo del 2009 di Gearbox Software. Nel videogame di Mad Max si riprende l'ambientazione e il personaggio principale del film, ma la storia è diversa. «Max è un'icona», ha spiegato Peter Wyse, vicepresidente della produzione e dello sviluppo di Warner Bros. Interactive Entertainment, «Noi stiamo realizzando per i giocatori un nuovo modo di sperimentare avventure nell'universo della Wasteland». Ma Mad Max non è l'unico esempio recente di film trasformato in videogame.
A fine agosto è infatti uscito Disney Infinity 3.0, titolo a metà fra il videogioco e il collezionismo, in cui delle statuine dei personaggi Disney prendono vita sullo schermo. Su questa piattaforma hanno esordito sia i protagonisti di Star Wars, che vedremo presto sul grande schermo nel settimo episodio della serie firmato da J.J. Abrams, sia quelli di Inside out, la nuovissima pellicola Disney Pixar ambientata nella mente di una bambina e in cui i protagonisti sono le emozioni, Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura.
ESPERIMENTI
La storia dei film trasformati in gioco annovera comunque diversi esperimenti, più o meno riusciti, da Alien vs. Predator al Signore degli Anelli, passando per Harry Potter e Batman. Degno di nota è The Walking Dead, pluripremiato videogame a puntate per dispositivi mobili ispirato alla serie tv sugli zombi. Eppure si tratta di casi sempre più rari. I videogiochi hanno infatti una straordinaria capacità di “cannibalizzare” altri linguaggi e altre forme d'arte, tanto da reinterpretarle e farle proprie. I giochi sono stati sviluppati seguendo uno stile cinematografico, che poi è stato talmente ben assorbito da trasformarsi in un elemento caratterizzante dei videogame prima ancora che delle pellicole. Non è un caso se oggi, quando ad esempio si allude a scene particolarmente spettacolari o concitate, come uno scontro in guerra, una sparatoria, una rapina o una corsa in automobile, è sempre più frequente sentir dire “sembrava di stare in un videogioco”, e non più “in un film”. Il vero vantaggio dei videogame d'altronde è proprio l'interattività, oltre che la maggiore possibilità di sperimentazione.
L'EVOLUZIONE
Quando, nel lontano 1995, la Pixar di Steve Jobs produsse Toy Story, il primo film sviluppato in computer grafica, quell'innovazione fu accolta con una certa diffidenza, se non paura, nel mondo del cinema tradizionale. La Disney sostituiva i personaggi dei suoi mitici cartoni animati con un ammasso di pixel. Si diceva che fosse una un film artefatto, che fosse esteticamente brutto rispetto ai classici disegni finora utilizzati, e che addirittura guardarlo fosse fastidioso e facesse venire il mal di testa.
In realtà non si trattava solo di un esperimento riuscito, ma di una vera rivoluzione: il cinema, intoccabile e immutabile, era stato appena “invaso” da qualcosa in grado di ridefinire le sue frontiere e le sue possibilità. Ma per farlo, il grande schermo aveva appena aperto la porta al “demonio” più temuto: il computer. Creare un'ambientazione spettacolare d'un tratto non era più questione di luce o di movimenti di camera, ma di “sterile” programmazione informatica. In realtà questo non tolse nulla alla magia del cinema classico, ma diede la possibilità ai registi di esprimersi in maniera ancora più completa.
andrea.andrei@ilmessaggero.it