Ott Tv, il web incontra la televisione: video on demand e contenuti inediti

Ott Tv, il web incontra la televisione: video on demand e contenuti inediti
di Federico Rocchi
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Mercoledì 27 Giugno 2012, 17:14 - Ultimo aggiornamento: 29 Giugno, 18:51

ROMA - A pochi giorni dalla conclusione del processo di switch-off digitale terrestre, un seminario a cura dell’ISIMM, Istituto per lo studio dell’innovazione media economia società istituzioni, ci ha offerto l’opportunità di gettare uno sguardo di insieme sulla cosiddetta "Over The Top Television" (leggi la scheda: cos'è la Ott Tv).

Presentata spesso come l’ennesimo «rivoluzionario sistema», in grado di spostare i decennali equilibri del mercato televisivo, la "OTT Television" è più realisticamente una comoda possibilità di fruire a richiesta grazie alla rete internet, on demand come si usa dire, di contenuti già trasmessi via etere (la propriamente detta "Catch Up TV") oppure di nuovi o inediti contenuti (come i video da YouTube) attraverso l’uso di «televisori connessi» al posto dei consueti computer e monitor di ridotto polliciaggio. Non è rivoluzione tecnologica quindi ma questione di abitudine e comodità, i più importanti fattori nelle scelte di consumo televisivo. Visti dal divano, i servizi "OTT tv" potrebbero effettivamente invogliare gli spettatori a riposizionare minuti del proprio tempo televisivo - una risorsa limitata come ha giustamente fatto notare il chairman Vincenzo Zeno-Zencovich – a danno dei ricavi pubblicitari delle tradizionali forme di televisione, già scosse dal massiccio incremento del tempo speso davanti ai social network.

Mentre la rete internet fa il suo ingresso nel salotto di casa come nuovo canale fisico di distribuzione, la locazione scelta per il convegno, pochi passi dalla sede dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha incorniciato la necessità di un confronto multidisciplinare. Anche in questo caso, come sempre quando il tema è quello delle tecnologie digitali e telematiche, molti aspetti influenzano la «governance» del sistema nel suo complesso, primo fra tutti quello lessicale. E’ importante trovare un accordo nel definire univocamente concetti fino a pochi anni addietro distinti e separati come «televisione» e «computer» poiché le definizioni finiscono inevitabilmente dentro norme e regolamenti scritti. La territorialità dei provvedimenti è uno dei perni del dibattito, il confronto deve necessariamente svolgersi in Europa e forse non basterà, stante la natura intrinsecamente globale della rete.

Nonostante l’esperienza digitale accumulata negli ultimi venti anni anche dai meno tecnici (oggi però tutti dotati di iPad…) esiste tuttora un’evidente distanza tutta italiana fra la realtà che procede veloce (a livello europeo si parla di «media audiovisivi» e non di «televisione») e chi si propone ancora di regolamentare un nuovo mondo utilizzando la strumentazione di quello vecchio. Come ha giustamente evidenziato Lisa Di Feliciantonio, Head of Regulatory and EU Policy di Fastweb, l’intera normativa sembra andare in contrasto con gli obiettivi dell’Agenda Digitale comunitaria: esistono ancora differenze sostanziali riguardanti autorizzazioni e possibilità fra vendita di atomi e di bit.

Lo stesso contenuto può essere venduto nell’ambito delle regole del commercio elettronico, acquistando un disco ottico via internet ad esempio, senza i vincoli che riguardano invece la distribuzione OTT via internet, direttamente sul televisore, ambito compreso nelle regole di tipo televisivo. D'altronde il nostro paese prevede anche differenti livelli di IVA fra libro di carta e libro in bit.

Sembra scontato che la televisione OTT debba essere inserita nel complesso delle regole storicamente «televisive», forse perché contiene nella sua etichetta la parola specifica «televisione» o solo perché si fruisce (di solito) con un «televisore» (anch’esso oggetto diventato oramai poco definito). Anche sul concetto di «trasmissione» e quindi di «responsabilità collegata» si parte dal paradigma «trasmissivo» tipico della televisione fatta con un’antenna: eppure in rete i dati non vengono «trasmessi» ma al massimo «messi a disposizione» di un cliente che li chiede espressamente. A chi dunque la responsabilità o il controllo? Si tratta di problematiche già note e tuttora irrisolte - come quelle affrontate nel solo mercato musicale - che si spostano da un ambito sostanzialmente giovanile e strettamente relativo al ricavo economico ad un ambiente più generale e sostanzialmente politico, capace di modificare gli assetti esistenti. C’è chi, come Paolo Agoglia, direttore ufficio legislativo della SIAE, immagina di poter garantire la remunerazione dei diritti proseguendo sulla traiettoria già tracciata, fatta di accordi con singoli «operatori di telecomunicazione» (con tutte la difficoltà ad individuarli) e dalla proliferazione di innumerevoli «microlicenze», a dire il vero percepite spesso come una tassa da pagare alla tranquillità piuttosto che una razionale, strutturale e giusta opera di tutela dei sacrosanti diritti di chi effettivamente voglia fare della produzione di contenuti la propria fonte di reddito.

La vera battaglia commerciale rimane quella fra sistemi «aperti» e sistemi «chiusi», stavolta con dati di fatto innegabili e due grandi novità, una tecnica e l’altra culturale. La novità tecnica è la disponibilità di enorme potenza hardware in qualunque dispositivo connesso o connettibile a basso costo. Ai tempi della discussione sul decoder unico nessuno poteva predire con certezza quando i televisori del futuro sarebbero stati dotati di ricevitori adatti al satellite e presa Ethernet. Chi ha basato tutto il suo modello di business su dispositivi proprietari o una sola forma di distribuzione sarà probabilmente costretto a riconsiderare le sue scelte. Lo sanno bene i responsabili di Tivù, il consorzio italiano per la diffusione tv via satellite. Alberto Sigismondi, consigliere delegato di Tivù, ha annunciato la sperimentazione di un software chiamato «Tivù ON» in grado di accentrare sotto un'unica interfaccia contenuti on demand via internet, similmente a quanto già Tivù offre per la diffusione via satellite. C’è solo da sperare che questo software sia installato o installabile su qualsiasi dispositivo e che consenta l’inserimento nel suo database di contenuti da qualsiasi fonte.

Gli operatori di comunicazione meno legati alla tradizione televisiva, invece, concentrano i loro interessi sulla cosiddetta «catena del valore», che tradotta in termini facilmente comprensibili diventa «chi guadagna che cosa». «Chi più vuole più paghi» ha ricordato Saverio Tridico, direttore Public & Legal Affairs di Vodafone Italia, esprimendo evidentemente la più generale preoccupazione degli operatori di rete per l’enorme incremento dei pacchetti dati video e audio (si parla di una quota superiore al 50% sul totale del traffico) dai quali oggi non ricavano nulla nello specifico, dato il sostanziale fallimento delle offerte IPTV che invece avrebbe garantito una speciale remunerazione.

Anche Fastweb, dopo Infostrada, ha deciso di chiudere la Fastweb TV strutturata come servizio di fornitura di hardware, connessione e contenuti per concentrarsi esclusivamente nella fornitura di contenuti a pagamento, quindi film alla stregua di un videonoleggio, attraverso Chili TV, prescindendo dall’uso di una speciale Videostation, esclusiva per i clienti Fastweb, collegata ad un solo televisore.

Secondo le intenzioni comunitarie la gestione della rete deve rispondere ad un criterio di «neutralità» ovvero chi fornisce la connessione non può, tra le altre cose, tariffare il passaggio dei dati in funzione della loro natura. La «net neutrality» sta sempre più stretta agli operatori di rete ma è pur vero che i loro clienti finali pagano già profumatamente la connessione internet per usarne tutte le possibilità.

Se la concorrenza nell’offerta di connettività sarà garantita, come ci si aspetta dopo aver ascoltato le parole di Antonio Perrucci, vice segretario generale dell’Autority, sarà difficile sostenere che i servizi di OTT debbano essere remunerati in via particolare. Sarà necessario ideare un nuovo modello di business ed il primo attore a riuscirci - sia esso un vecchio broadcaster in grado di produrre i propri specifici contenuti oppure un produttore indipendente o un costruttore di televisori o device fisici semplici da usare – potrà godere di un significativo vantaggio.

E in questo scenario, in cui il ruolo dei tradizionali intermediari è messo significativamente in discussione, i broadcaster televisivi assenti al seminario e ancora a caccia di tradizionali introiti pubblicitari non sembrano favoriti.

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