L'MP3
Certo, sono in tanti a maledire l'mp3, che ha tolto al suono molta della sua profondità e, cosa più grave, ha abituato praticamente tutti noi ad ascoltare musica a una qualità sempre peggiore (se non lo fate da un po', provate ad ascoltare un cd originale con un paio di cuffie di discreto livello e riscoprirete un mondo). Ma dopo il 2001 dall'iPod si è passati all'iPhone e dall'mp3 si è arrivati allo streaming. Oggi la musica si ascolta su Spotify, Apple Music, YouTube o altre piattaforme. Basta creare un account con mail e password per accedere a un catalogo praticamente infinito di brani, da ascoltare mentre si è connessi alla Rete, tramite pc, tablet o smartphone. Con un abbonamento, il cui prezzo di solito si aggira intorno ai 10 euro al mese, si possono anche scaricare sul cellulare canzoni da ascoltare offline e senza interruzioni pubblicitarie.
LA RIVOLUZIONE
Neanche a dirlo, il mercato che però ha più risentito di questo cambio di rotta è quello discografico. C'è un filo conduttore che da sempre lega la musica e la tecnologia, il mondo delle emozioni più eteree e quello, ben più materiale, dei circuiti e del silicio. Un filo che poi ha finito per intrecciarsi, facendo in modo che le grandi rivoluzioni dell'ultimo secolo passassero prima per l'arte e poi per la tecnica. E con un po' di tristezza dei rockettari più appassionati, da Woodstock e dalla swinging London si è arrivati così a Cupertino e Shenzen, ormai veri teatri delle grandi rivoluzioni culturali.
Ma già molto prima dell'iPod, il mondo delle sette note aveva capito (spesso a sue spese) che la sua sorte sarebbe stata segnata dal progresso tecnologico. Basti citare l'incredibile caso Sony. Quando l'azienda giapponese lanciò il Walkman, a fine anni 70, creò una vera bufera nel settore: per la prima volta si poteva registrare musica in casa e creare compilation personali. Una cosa che non andò giù, pensate un po', alla stessa Sony. O meglio alla sua divisione che si occupava di diritti e distribuzione musicale.
La storia è stata sempre questa, fin dagli anni 40 e dai primi vinili destinati al grande pubblico, diffusi negli Stati Uniti dalla Columbia records sotto forma di 78 giri. Quegli stessi vinili che oggi, nell'epoca della musica liquida, anzi eterea per eccellenza, sono tanto tornati di moda, anche se in realtà non sono proprio gli stessi. Perché se una volta, fino agli anni 80, le tracce venivano registrate in modo analogico e quindi direttamente sulla lacca, con l'avvento del cd tutte le grandi case discografiche si sono sbarazzate dei vecchi macchinari e sono passate direttamente alla registrazione digitale. Con il risultato che oggi la sonorità tipica del vinile di una volta è qualcosa di praticamente irreperibile: i 33 giri prodotti negli ultimi vent'anni sono registrazioni digitali riversate su vinile, con una qualità sonora perciò molto simile a quella dei tanto vituperati cd. Con le dovute eccezioni, certo. Perché ad esempio una casa discografica italo-tedesca, la Fonè di Giulio Cesare Ricci, è ancora in possesso dei vecchi macchinari e le sue registrazioni su vinile restituiscono un suono autentico, molto apprezzato dai veri appassionati del giradischi. Fonè incide quasi solo musica classica e jazz anche se in questi giorni ha annunciato l'uscita di un'edizione limitata dei primi 5 album di Vasco Rossi, rimasterizzati in alta fedeltà.
I TALENT
Detto questo, ormai è chiaro che l'industria discografica guadagni poco e niente dalla vendita di dischi. E anche le entrate dalla gestione dei diritti d'autore, a causa delle piattaforme streaming, sono molto ridimensionate. Il mercato discografico oggi si basa prevalentemente sugli eventi e sulle esibizioni dal vivo. Ecco spiegato perché i biglietti dei concerti sono molto più costosi rispetto a 10 anni fa. Ed ecco spiegata anche l'invasione dei talent show, grazie ai quali l'industria di settore può vivere dei guadagni televisivi e contemporaneamente può anche togliersi dall'impaccio di dover scovare talenti. Chi ha visto la prima ed unica stagione di Vinyl, la serie tv sul rock anni 70 prodotta da Martin Scorzese e Mick Jagger, avrà visto come l'incubo ma anche il divertimento dei discografici di quell'epoca fosse cercare nuove sonorità. Oggi sono i talenti che vanno dalle case discografiche, non più il contrario. Ma è necessario che quei fenomeni durino poco, per lasciare spazio sempre a qualcosa di nuovo. Oggi più che mai, the show must go on.
andrea.andrei@ilmessaggero.it
Twitter: andreaandrei_
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