Google Art Project e Roma: anche la Dolce Vita finisce nel Web

Google Art Project e Roma: anche la Dolce Vita finisce nel Web
di Paola Polidoro
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Giovedì 22 Novembre 2012, 16:00 - Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 20:13
ROMA - Internet for culture, la rete per la cultura. Si torna all’argomento cardine del dibattito sulle politiche culturali del nostro Paese: come trasformare il patrimonio in investimento e far girare l’economia? Stavolta si parla di piattaforme digitali e delle possibilità offerte dal network per incuriosire e invogliare il pubblico a visitare, pagando, le nostre bellezze.



Amit Sood, fondatore del Google Art Project e direttore presso il Google Cultural Institute, è nato in India meno di quarant’anni fa (non confessa l’età precisa: «Perché qui tutti mi chiedono quanti anni ho? Io faccio yoga per rimanere giovane») e parla del progetto che vede Google collaborare con l’Istituto Luce: una mostra on line sulla Dolce Vita. Contestualmente informa su Google Art Project, che consente di ammirare 38 mila opere d’arte in alta e talvolta altissima risoluzione (in gigapixel) zoomando fino al dettaglio più nascosto; il World Wonders (che è sceso anche nella grande barriera corallina australiana con la street view tech) e l’Archivio di mostre digitali, una sorta di libro di storia illustrato che racconta personaggi ed eventi fondamentali attraverso testi e documenti audiovisivi.



«Secondo Google - dice Sood - non è ancora sufficiente l’accessibilità on line della cultura. Il nostro è un progetto non profit, non è una questione di soldi, si tratta piuttoston di tecnologia e di contenuti. Abbiamo avviato uno scambio con 180 istituzioni museali di tutto il mondo. L’obiettivo è creare una piattaforma, ma anche lo spunto per far soldi in un modo nuovo, ad esempio facendo leva su programmi educativi».



In che modo i progetti del Google Cultural Institute promuovono la conoscenza del patrimonio artistico? «Vogliamo incrociare le audiences: far conoscere l’arte del Rinascimento ai giovani e alle generazioni precedenti l’arte di oggi. Ogni opera è presentata con un database di informazioni, è possibile fare ricerche comparate e creare una gallery personale. La mostra sulla Dolce Vita è uno degli esempi di come si può rilanciare il passato: tra i materiali a disposizione c’è un curioso video che documenta l’inaugurazione del primo supermercato romano all’ Eur».



Le visite virtuali che propone Google non scoraggeranno la gente dall'uscire di casa? «No, perché l’esperienza fisica ha una propria specificità, non può essere replicata. Ma penso che i musei, per attrarre nuovi visitatori, abbiano bisogno di presentarsi anche in altre vesti. In India non abbiamo l’abitudine di uscire tra amici per andare a visitare una mostra, ad esempio. Io sono entrato per la prima volta in un museo dopo il college. A parole tutte le persone sono interessate alla cultura, ma vanno sollecitate, e questo è un modo diretto. Un effetto che mi riguarda da vicino? I miei amici hanno appena organizzato un viaggio ad Amsterdam per andare a vedere Van Gogh dal vero».



A quali critiche potrebbe essere sottoposto il progetto? «Potrebbero dire che Google ci voglia guadagnare, Google invece non è neanche proprietario dei contenuti. I diritti sono di chi offre i materiali e i siti dei musei sono sempre segnalati, in modo che il traffico sia bidirezionale e se ne avvantaggino entrambe le parti, oltre che gli utenti».

Sarebbe utile mettere on line le opere conservate nei magazzini dei musei, mai esposte per mancanza di spazi. «Sono d’accordo, alcuni lo stanno facendo. Ma è un lavoro lungo: dovrebbero pensarci gli stessi musei». Siete già entrati nel Colosseo con lo street viewer, si potrebbe realizzare una visita virtuale alle catacombe di Roma? «Se ci invitassero a farlo, sarebbe bellissimo. I problemi di illuminazione si risolvono, ed è un’operazione, per il Comune, a costo zero. Pensiamo a tutto noi. L’importante è agire con rapidità, senza lungaggini burocratiche. Internet ha i tempi stretti».
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