Doom, il brutale (e anacronistico) ritorno di un grande classico

Doom, il brutale (e anacronistico) ritorno di un grande classico
di Andrea Andrei
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Venerdì 3 Giugno 2016, 02:18 - Ultimo aggiornamento: 4 Giugno, 14:22

Pochi videogame riescono a mettere d'accordo generazioni diverse e lontanissime di giocatori. Uno di questi è Doom, lo sparatutto-quasi-horror che, uscito per pc nel 1993, diventò in breve tempo una “bandiera” dei giochi d'azione. Tanti sono stati i sequel che negli anni hanno provato a riesumarlo, ma nessuno ci era riuscito come quello lanciato il 13 maggio scorso.

Il titolo non poteva che essere semplicemente “Doom”. Perché l'obiettivo del videogame sviluppato da id Software e pubblicato da Bethesda Softworks per Xbox One, PlayStation 4 e Pc, è quello di recuperare il più possibile il concept e le atmosfere del suo antenato, trasportandole sulle console di nuova generazione. Ebbene, da quei mostri tutti corna e pixel è passata un'era. Ma la voglia di rituffarsi in quell'ambientazione marziana e di sfogare le proprie frustrazioni davanti a uno schermo è rimasta pressoché la stessa.

 
Doom è probabilmente il gioco più catartico mai realizzato: il protagonista è su un pianeta, Marte, del tutto inospitale, popolato solo di orrende creature pronte ad aggredire chiunque. Chi sia quel personaggio è del tutto ininfluente. Chi siano quei mostri, pure. Di trama ce n'è poca e comunque non importa. Ogni scenario è costruito per essere semplicemente un campo di battaglia, con munizioni e bonus salute sparsi un po' ovunque. Per il resto sono solo armi, sangue, sbudellamenti e musica metal a sottolineare la brutalità del tutto. Una musica azzeccatissima, che è il vero valore aggiunto del gioco. Peccato solo che sia venuto fuori che un brano, contenuto nella colonna sonora del gioco, passato allo spettrografo (che permette di trasformare un'onda sonora nel “disegno” della frequenza), riveli un paio di messaggi satanici nascosti, il pentacolo rovesciato e la scritta “666”. Ma non è certo questa la ragione per cui Doom è sconsigliato ai bambini e ai deboli di stomaco, in tutti i sensi. Perché non si tratta solo del sangue a fiumi e delle uccisioni cruente all'ordine del secondo, ma anche di una velocità di gioco devastante: il fine ultimo è quello di muoversi il più possibile, correre incontro ai nemici e sparargli con fucili a pompa e mitragliatrici, oppure di squarciarli con la motosega. Questione di (dis)gusti.

I nostalgici probabilmente lo apprezzeranno, visto che è il prodotto più fedele alla prima versione mai realizzato. Eppure c'è qualcosa che manca. Sarà quell'atmosfera un po' horror che qui si sente meno, visto che sono i nemici ad avere paura della nostra furia, e non il contrario. Sarà che il gioco del '93 era il migliore sparatutto realizzato fino a quel momento e lo sarebbe rimasto per anni, mentre oggi ne abbiamo sul mercato a decine, molti dei quali validissimi. Saranno i pixel, o forse semplicemente che si era più giovani. Sarà. Solo che allora non riuscivi a staccarti dal pc prima di trovare una chiave gialla che aprisse una porta dello stesso colore. Mentre oggi, dopo un po', viene voglia di lasciar perdere, e non importa quanto si sia arrabbiati o quanto si abbia necessità di sfogarsi.

Sarà che oggi, quando anche i platform hanno dei loro risvolti profondi, siamo abituati a concepire i videogame come prodotti complessi e non più come semplici passatempo.
Sarà che siamo abituati troppo bene, o troppo male. O forse sarà semplicemente che sono passati 23 anni e che la sentenza che spetta a noi, posteri di noi stessi, è davvero troppo ardua. Sparare per credere.

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