Pochi videogame riescono a mettere d'accordo generazioni diverse e lontanissime di giocatori. Uno di questi è Doom, lo sparatutto-quasi-horror che, uscito per pc nel 1993, diventò in breve tempo una “bandiera” dei giochi d'azione. Tanti sono stati i sequel che negli anni hanno provato a riesumarlo, ma nessuno ci era riuscito come quello lanciato il 13 maggio scorso.
Il titolo non poteva che essere semplicemente “Doom”. Perché l'obiettivo del videogame sviluppato da id Software e pubblicato da Bethesda Softworks per Xbox One, PlayStation 4 e Pc, è quello di recuperare il più possibile il concept e le atmosfere del suo antenato, trasportandole sulle console di nuova generazione. Ebbene, da quei mostri tutti corna e pixel è passata un'era. Ma la voglia di rituffarsi in quell'ambientazione marziana e di sfogare le proprie frustrazioni davanti a uno schermo è rimasta pressoché la stessa.
I nostalgici probabilmente lo apprezzeranno, visto che è il prodotto più fedele alla prima versione mai realizzato. Eppure c'è qualcosa che manca. Sarà quell'atmosfera un po' horror che qui si sente meno, visto che sono i nemici ad avere paura della nostra furia, e non il contrario. Sarà che il gioco del '93 era il migliore sparatutto realizzato fino a quel momento e lo sarebbe rimasto per anni, mentre oggi ne abbiamo sul mercato a decine, molti dei quali validissimi. Saranno i pixel, o forse semplicemente che si era più giovani. Sarà. Solo che allora non riuscivi a staccarti dal pc prima di trovare una chiave gialla che aprisse una porta dello stesso colore. Mentre oggi, dopo un po', viene voglia di lasciar perdere, e non importa quanto si sia arrabbiati o quanto si abbia necessità di sfogarsi.
Sarà che oggi, quando anche i platform hanno dei loro risvolti profondi, siamo abituati a concepire i videogame come prodotti complessi e non più come semplici passatempo.