Ibi16, Lea Pericoli: «La débâcle italiana agli Internazionali? Devono lavorare di più»

Ibi16, Lea Pericoli: «La débâcle italiana agli Internazionali? Devono lavorare di più»
di Federica Macagnone
3 Minuti di Lettura
Domenica 15 Maggio 2016, 15:19
Eleganza, stile, classe. È racchiusa in queste tre parole l'essenza della vita di Lea Pericoli. In tutto ciò che ha fatto, dai campi di gioco alle telecronache, lei, la donna dei record (nessun tennista italiano, uomo o donna che sia, è stato mai capace di conquistare 27 titoli nazionali), ha portato sempre il suo essere profondamente donna.

Caparbia, tenace, bella, coraggiosa come quando, nel '73, fu colpita da un tumore, si curò, tornò in campo e vinse l'ennesimo titolo tricolore. È stato allora che il “coniglio coraggioso” (come ama definirsi perché non aveva il cuore per andare all'attacco) è diventata la più feroce delle predatrici, pronte a divorare il male, a sconfiggerlo. Ma anche in quella lotta non ha mai perso la sua innata raffinatezza, la stessa con cui indossava i suoi storici vestitini da gioco, disegnati da Ted Tinling, esposti nel Victoria Albert Museum di Londra. Dalle copertine delle riviste di allora sono passati anni, ma Lea Pericoli è un esempio di bellezza senza tempo. Il segreto? «La serenità» ha rivelato al Messaggero.it prima di sviscerare la questione della spinosa débâcle del tennis italiano agli Internazionali di tennis di Roma.

Questi Internazionali non sono andati affatto bene per gli italiani. Cosa non ha funzionato?
«Gli elementi sono tanti: il tennis è un gioco complicato, solitario, si è dentro un campo e si deve essere in grado di sfangarla da soli. Non è che sia mancato qualcosa, bisogna lavorare di più, soffrire un po' di più e alla fine i risultati arrivano. Nella vita bisogna aspettare e conquistarsi certe cose e non è facile».

Condivide la scelta di ritirarsi di Flavia Pennetta?
«Quando ho saputo la notizia, le ho mandato un messaggino: "Scelta difficile che però ti regala l'immortalità". In questo modo nessuno le potrà mai dire nulla, continuando la sconfitta è sempre in agguato».

Il tennis femminile italiano gode di una salute migliore rispetto a quello maschile. Perché?
«Ci sono corsi e ricorsi della storia. Noi abbiamo avuto tantissimi risultati con campioni straordinari, ma io sono del parere che il campione te lo manda Dio. Il buon giocatore lo costruisci, il grande campione no. La Svizzera, banche e cioccolata, perché deve avere un Federer? Non è che come nazione sia più brava di noi. È un momento così, i nostri sono dignitosamente forti. Per un campione dobbiamo aspettare ancora un po'».

Come è cambiato il tennis rispetto a quando giocava lei?
«È imparagonabile. Ai tempi miei e di Nicola (Pietrangeli, ndr) non c'era denaro, noi giravamo da soli, è stata una grande lezione di vita: soldi niente, pensioncine, ristorantini. Era un altro mondo. Noi eravamo dei ragazzi che giravano per il pianeta con grande entusiasmo: felici di viaggiare e di scoprire posti meravigliosi».

Qual è stata la partita più bella di Lea Pericoli?
«La partita più bella di Lea Pericoli è quella che ha vinto contro il cancro».

Ha qualche rimpianto sul campo?
«Come dice Nicola, solo i cretini non hanno rimpianti. C'è sempre qualcosa che vorresti aver fatto in modo diverso, però io mi ritengo una donna molto fortunata. Ho avuto mille chance, ho fatto tv, ho lavorato a lungo al Giornale di Indro Montanelli, grande direttore e grande amico, e ho scritto quattro libri. Sono riconoscente alla vita per essere oggi qui con voi a fare queste quattro chiacchiere».

Come sono stati questi primi 81 anni di Lea Pericoli.
«Io direi bellissimi. Sono molto felice, ho grande riconoscenza nei confronti della vita».










 
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