Il gesto di Di Francisca/ Dai Giochi la spinta a cambiare l'Europa

di Sebastiano Maffettone
4 Minuti di Lettura
Venerdì 12 Agosto 2016, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 09:40
Quantomeno inusuale di questi tempi. Così potremmo commentare il gesto della schermitrice italiana Elisa Di Francisca, che - dopo aver vinto la medaglia d'argento nel fioretto alle Olimpiadi di Rio - ha sventolato urbi et orbi la bandiera dell'Unione Europea. Tranne che alla signora Mogherini, alto Commissario Ue per gli Esteri, a chi di noi sarebbe venuto in mente un gesto del genere? Gesto che, pur essendo spontaneo e non calcolato, aveva un sua motivazione del tutto rispettabile.
Mi sono comportata in questo modo - ha dichiarato infatti la gagliarda atleta - perché «l'Europa esiste ed è unita. L'ho fatto per Parigi e per Bruxelles». Niente da obiettare, dunque: la signora Di Francisca ha mostrato che spesso gli atleti non sono privi di cervello, e va sans dire ha ragione da vendere. Se così è, come credo, perché mai qualcosa del genere sembra, come si diceva all'inizio, strano se non addirittura perturbante in Italia e in molte parti d'Europa?


Credo che la risposta non sia poi tanto difficile: semplicemente l'Europa degli ultimi anni non è stata all'altezza delle nostre aspettative. E, se così è, perché mai allora la fiorettista medagliata ha - come ho sostenuto - ragione da vendere? Altrettanto semplicemente perché di Europa abbiamo bisogno come e più di prima. In questa impasse tra delusione e necessità sta tutta la questione europea. E il gesto della Di Francisca è la migliore risposta anti-Brexit finora pervenuta da politici e non.
Proprio perché è una risposta priva di qualsiasi retorica bruxellese. 


Cominciamo dalla delusione. L'Europa è nata con un triplice sogno tanto audace quanto complesso, quello di realizzare la pace perpetua (l'espressione è di Kant) tra i popoli che ne fanno parte, al tempo stesso unificando prima i mercati e poi le politiche degli stati membri. La delusione, come è noto, è figlia dell'illusione, ed è possibile che la speranza dei grandi europeisti di un tempo come Spinelli e Delors fosse troppo audace per essere messa in pratica. Ma non dovremmo dimenticare che essa è stata realizzata perlomeno per una buona metà. Voglio dire che la pace perpetua tra i popoli europei è stata sostanzialmente raggiunta (chi può immaginare oggi una guerra tra Germania e Francia?). L'unione economica europea è stata poi perseguita fino a un certo punto, e l'unificazione politica è lungi dall'essere stata non dico ottenuta ma neppure seriamente cercata. E proprio il fallimento parziale economico e politico è il motore della parziale delusione di cui stiamo parlando.
 

Nella mitologia greca Europa era la bella figlia di Agenore di Tiro insidiata con successo da Zeus in guisa di toro, che con lei riuscì a fare ben tre figli (di cui il più noto è Minosse). Se Europa ha le sue antiche origini, perlomeno semantiche, nel mito greco, è proprio la questione greca che ne ha rivelato le debolezze intrinseche più evidenti. Come ha sostenuto talvolta Renzi, la politica economica europea non può essere basata sulla tutela dell'economia tedesca a scapito di quella dei Paesi più deboli. E ha ragione Varoufakis quando dice che la crisi greca non è la causa dei fallimenti europei ma il suo sintomo più clamoroso. In questo caso come non mai, La Germania stessa ha mostrato tra l'altro il suo deficit di leadership, essendo - come sosteneva uno che di politica estera se ne intendeva, sarebbe a dire Henry Kissingerb- «troppo grande per obbedire e troppo piccola per comandare». E credo che le dimensioni (grande-piccola) in questo caso non siano solo fisiche ma anche etico-politiche.

Ma veniamo al secondo corno del dilemma, cioè la necessità di Europa, che è ancora viva e vera. Questa necessità dipende da una pluralità di fattori, primo tra tutti il bisogno di competere su mercati globali in cui ancora una volta le dimensioni contano. È ovvio, per fare un esempio, che l'Italia da sola non può trattare con la Cina, ma che l'Europa nel suo complesso può farlo. C'è però un altro aspetto della questione che la signora Di Francisca ha giustamente enfatizzato. Voglio dire che in questo momento L'Isis e il radicalismo arabo-islamico ci hanno dichiarato una guerra strisciante, cui dobbiamo fare fronte. La risposta europea in vero non può che basarsi sulla difesa dei grandi principi di libertà ed eguaglianza che sono all'origine del costituzionalismo illuministico. Ma i principi da soli non sempre bastano. Come voleva il perfido Nietzsche nelle vicende importanti l'appello alla testa spesso non è sufficiente e bisogna rivolgersi anche alle viscere. Che in questo caso hanno a che fare con i valori profondi, che a loro volta hanno radici simboliche.

Proprio per ciò il gesto di Di Francisca appare significativo al di là del fatto in se stesso. Immaginate un'atleta che lavora tutti i giorni dell'anno per anni di seguito per vincere una medaglia olimpica. E ci riesce alla fine. E proprio quando ci riesce pensa non all'amore o alle vacanze ma all'Europa. Non è formidabile? Non è proprio questo che al di là di maggiore intelligenza politica ed economica è mancato all'Europa, intendo questa capacità di muovere la pancia e non il cervello, di raggiungere i cuori e non far pensare solo alle regole? 
Se così fosse, come sono tutto sommato propenso a credere, la delusione e il bisogno su cui si fonda la difficoltà europea dei nostri giorni avrebbero un fondamento condiviso, la necessità di sentirsi membri di una patria comune. La nostra brava atleta ce lo ha ricordato. Come fanno le persone serie, con semplicità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA