Totò Schillaci, buon compleanno: l'asso di Italia '90 compie cinquant'anni

Totò Schillaci, buon compleanno: l'asso di Italia '90 compie cinquant'anni
di Giacomo Perra
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Lunedì 1 Dicembre 2014, 19:17 - Ultimo aggiornamento: 21:30

Quello sguardo. Pensi a Salvatore Schillaci e ti vengono in mente subito i suoi occhi. Due fari luminosi ed espressivi che accesero le notti magiche di Italia ’90 e le speranze (poi deluse, ma non certo da lui) degli italiani.

Quei Mondiali furono il punto più alto (nonché, insieme, l’esordio e il canto del cigno della sua stagione da fuoriclasse del gol) di una carriera fulminea – almeno ad altissimi livelli – ma decisamente significativa, cominciata nei campi minori della sua terra, la Sicilia, e terminata, in cerca di gloria e di soldi, dall’altra parte del pianeta.

Nato il primo dicembre di cinquant’anni fa a Palermo, Totò - diminutivo con cui è ancora conosciuto in tutto il mondo - cresce nei vicoli popolari del CEP, dove si fa notare dagli osservatori dell’Amat, squadra dilettantistica del capoluogo isolano.

La prima svolta della sua vita lavorativa arriva nel 1982 quando viene ingaggiato dal Messina, allora militante in C2. Nel club giallorosso rimane per sette anni, consacrandosi, anche grazie a guru della panchina come Franco Scoglio e Zdenek Zeman, come uno degli attaccanti più interessanti e prolifici delle serie professionistiche minori. È proprio con l’allenatore boemo che nella stagione 1988-89 Schillaci compie il grande salto: con 23 reti, record personale di marcature in Italia, è il capocannoniere di B, performance che gli schiude le porte della A.

Sono in tanti a volerlo ma nell’estate dell’89 è la Juve di Boniperti, presidente, e Zoff, allenatore, ad accaparrarselo. In pochi mesi Totò - non ancora nazionale - diventa uno dei pilastri della squadra bianconera e inizia a fare quello che gli è riuscito sempre meglio: segnare. I numerosi gol, 15 in 30 partite, - secondo marcatore italiano in un torneo che, tra stelle straniere e tricolore, annovera campionissimi del calibro di Van Basten, Maradona, Careca, Klinsmann, Voeller, Baggio, Mancini, Gullit e Vialli - e le due Coppe, Uefa e Italia, vinte, convincono anche il c.t. Azeglio Vicini e così nella magica e calda estate del ’90 Totò si veste d’azzurro per i campionati del Mondo di casa nostra.

Con 6 reti in 6 partite, il bomber juventino diventa il capocannoniere, il miglior giocatore e l’eroe della manifestazione. Un eroe sfortunato: la Nazionale di Vicini, infatti, perde in semifinale ai rigori contro l’Argentina di Maradona. Schillaci, comunque, timbra il cartellino anche in quella gara: un gol fortunoso - l’unico del torneo - ma in quel periodo gli riesce tutto, persino - lui che è alto un metro e settantacinque centimetri - battere nel gioco aereo due lungagnoni austriaci.

La favola del venticinquenne siciliano venuto da Messina a detronizzare i bomber più grandi e pagati del mondo, però, finisce presto: terminato il Mondiale, l’ex numero 11 bianconero sembra aver perso lo smalto e la vena realizzativa di un tempo. Nel ’92 la Juve lo cede all’Inter ma anche a Milano Schillaci è semplicemente Salvatore, l’ombra del Totò nazionale idolatrato e ammirato ad Italia ’90.

Sedotto ed “emarginato” in nerazzurro, dove fa spesso panchina, e abbandonato persino dalla Nazionale – l’ultima sua partita risale al settembre del ’91 - allora il capocannoniere di Italia ’90 decide di espatriare. A quei tempi sono in pochi ad emigrare e perciò il suo trasferimento in Giappone, allo Jubilo Iwata, fa discutere. Nel Sol Levante dal '94 al '97 “Totò-San” guadagna e segna tanto - 56 reti in 78 partite - chiudendo ricco, di denaro e di esperienza, la sua carriera.

Appesi gli scarpini al chiodo, tra una partecipazione all’”Isola dei Famosi” e qualche comparsata al cinema e in tv, oggi Schillaci si occupa di gestire un centro sportivo per ragazzi nella sua Palermo e di godersi la vita. Con due soli rimpianti: non essere riuscito mai a vestire la maglia della squadra della sua città natale e non aver vinto quel campionato del mondo vissuto da protagonista. Gli è decisamente andata bene lo stesso.