Quello sguardo. Pensi a Salvatore Schillaci e ti vengono in mente subito i suoi occhi. Due fari luminosi ed espressivi che accesero le notti magiche di Italia ’90 e le speranze (poi deluse, ma non certo da lui) degli italiani.
Quei Mondiali furono il punto più alto (nonché, insieme, l’esordio e il canto del cigno della sua stagione da fuoriclasse del gol) di una carriera fulminea – almeno ad altissimi livelli – ma decisamente significativa, cominciata nei campi minori della sua terra, la Sicilia, e terminata, in cerca di gloria e di soldi, dall’altra parte del pianeta.
Nato il primo dicembre di cinquant’anni fa a Palermo, Totò - diminutivo con cui è ancora conosciuto in tutto il mondo - cresce nei vicoli popolari del CEP, dove si fa notare dagli osservatori dell’Amat, squadra dilettantistica del capoluogo isolano.
Sono in tanti a volerlo ma nell’estate dell’89 è la Juve di Boniperti, presidente, e Zoff, allenatore, ad accaparrarselo. In pochi mesi Totò - non ancora nazionale - diventa uno dei pilastri della squadra bianconera e inizia a fare quello che gli è riuscito sempre meglio: segnare. I numerosi gol, 15 in 30 partite, - secondo marcatore italiano in un torneo che, tra stelle straniere e tricolore, annovera campionissimi del calibro di Van Basten, Maradona, Careca, Klinsmann, Voeller, Baggio, Mancini, Gullit e Vialli - e le due Coppe, Uefa e Italia, vinte, convincono anche il c.t. Azeglio Vicini e così nella magica e calda estate del ’90 Totò si veste d’azzurro per i campionati del Mondo di casa nostra.
Con 6 reti in 6 partite, il bomber juventino diventa il capocannoniere, il miglior giocatore e l’eroe della manifestazione. Un eroe sfortunato: la Nazionale di Vicini, infatti, perde in semifinale ai rigori contro l’Argentina di Maradona. Schillaci, comunque, timbra il cartellino anche in quella gara: un gol fortunoso - l’unico del torneo - ma in quel periodo gli riesce tutto, persino - lui che è alto un metro e settantacinque centimetri - battere nel gioco aereo due lungagnoni austriaci.
La favola del venticinquenne siciliano venuto da Messina a detronizzare i bomber più grandi e pagati del mondo, però, finisce presto: terminato il Mondiale, l’ex numero 11 bianconero sembra aver perso lo smalto e la vena realizzativa di un tempo. Nel ’92 la Juve lo cede all’Inter ma anche a Milano Schillaci è semplicemente Salvatore, l’ombra del Totò nazionale idolatrato e ammirato ad Italia ’90.
Sedotto ed “emarginato” in nerazzurro, dove fa spesso panchina, e abbandonato persino dalla Nazionale – l’ultima sua partita risale al settembre del ’91 - allora il capocannoniere di Italia ’90 decide di espatriare. A quei tempi sono in pochi ad emigrare e perciò il suo trasferimento in Giappone, allo Jubilo Iwata, fa discutere. Nel Sol Levante dal '94 al '97 “Totò-San” guadagna e segna tanto - 56 reti in 78 partite - chiudendo ricco, di denaro e di esperienza, la sua carriera.
Appesi gli scarpini al chiodo, tra una partecipazione all’”Isola dei Famosi” e qualche comparsata al cinema e in tv, oggi Schillaci si occupa di gestire un centro sportivo per ragazzi nella sua Palermo e di godersi la vita. Con due soli rimpianti: non essere riuscito mai a vestire la maglia della squadra della sua città natale e non aver vinto quel campionato del mondo vissuto da protagonista. Gli è decisamente andata bene lo stesso.