Pugilato, Guido Vianello torna sul ring dopo 9 mesi: «In America la boxe è presa sul serio...»

Il pugile romano, che dal 2018 si allena in America, combatterà in Texas: "In Italia troppi pugili pensano a fare prima gli influencer e poi a combattere"

Pugilato, Guido Vianello torna sul ring dopo 9 mesi: «In America la boxe è presa sul serio...»
di Marco Pasqua
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Lunedì 9 Ottobre 2023, 16:19

Se si dovesse sintetizzare il 2023 di Guido Vianello, questo dovrebbe essere senza dubbio definito l'anno della rinascita. Un anno iniziato nel peggiore dei modi, lo scorso mese di gennaio, a Verona (New York): con un KO tecnico, patito contro Jonathan Rice, le immagini del suo volto insanguinato che arrivano, via social e Tv, in Italia. E, soprattutto, uno stop successivo durato nove mesi, durante i quali sono successe molte cose.
La prossima settimana, Vianello, o meglio "The Gladiator" come è stato ribattezzato in America, tornerà su un ring, al Fort Bend Community Center, in Texas, a Rosenberg. Cosa hanno significato per lei questi nove mesi?
«Intanto diciamo subito che avrei dovuto combattere ad agosto. Il mio contratto, con la Top Rank di Bob Arum, prevede, infatti, tre match all'anno. Purtroppo, l'evento al quale dovevo prendere parte, è stato annullato, non per mia volontà. E' stato un lungo periodo, devo ammetterlo, durante il quale ho dovuto anche fare i conti con le mie paure».
Per un pugile, 9 mesi di stop possono essere deleteri.
«Oppure possono servire a ripartire. Ho messo ordine nella mia vita. Ho chiuso con alcuni rapporti che non mi soddisfacevano più e non mi facevano stare bene. Sento di essere maturato, anche grazie alla psicoterapia: non è da tutti ammetterlo, ma io non me ne vergogno. Ho fatto un percorso, con uno specialista, che mi ha permesso di guardarmi dentro e di capire cosa mi è realmente successo. E' stato un anno difficile, questo non posso negarlo, ma ora mi sento una persona nuova».
Che rapporto ha con la sua seconda casa, l'America?
«Sono arrivato qui nel 2018 e ho avuto la possibilità di combattere al Madison Square Garden. Non parlavo una parola di inglese ed ero un ragazzino. L'esperienza nel gruppo sportivo dei carabinieri mi aveva aiutato molto, ma avevo bisogno di crescere e qui ho trovato ciò di cui avevo bisogno».
Dalla Montagnola a Las Vegas. Un trauma?
«All'inizio sì, soprattutto per quello che riguarda i rapporti umani. E' difficile trovare degli amici, quegli che, invece, ho lasciato a Roma e che mi aspettano ogni volta che ritorno. Ma l'America è, allo stesso tempo, il posto perfetto per noi pugili, perché qui si pensa solo a faticare e a lavorare. Non c'è spazio per le distrazioni, bisogna essere concentrati (come dicono loro "stay focused"), altrimenti si è fuori».
In Italia la boxe è la Cenerentola degli sport.
«Purtroppo la televisione la snobba ancora e, questo, rappresenta un limite per attrarre i giovani verso questo sport. Detto ciò, penso che il problema sia anche quello dei pugili italiani».
Ci spiega meglio?
«A differenza di quello che succede qui, in Italia sono tutti concentrati su quello che fanno gli altri. Pensano troppo a stare sui social, ai like e alla condivisioni. I pugili vogliono fare gli influencer, ma non capiscono che prima bisogna pensare a vincere e poi a fare i video. Qui, a Las Vegas, guardano tutti avanti e ognuno va per la sua strada».
In America ha avuto la possibilità di confrontarsi con dei mostri sacri. L'ultimo è stato Francis Zavier Ngannou, sfidante di Tyson Fury.
«Che esperienza indimenticabile. Il suo team ha preso contatto con il mio: aveva bisogno di un avversario alto e veloce, come Fury appunto. Abbiamo fatto 9 riprese, con un ritmo molto alto, una grande seduta di allenamento. Lui è un grande professionista. A proposito del discorso dei social: pensi che nella palestra che ha affittato Ngannou possono entrare solo gli allenatori e nessuno può fare delle riprese, vengono considerate una distrazione».
Oltre a Ngannou, si è confrontato con altre stelle del pugilato?
«Ho avuto il privilegio di allenarmi con lo stesso Tyson Fury, ma anche Joseph Parker e Carlos Takam ma ho anche conosciuto Floyd Mayweather: tutte esperienze uniche, che in Italia non avrei mai potuto fare».
Sabato prossimo se la vedrà con Curtis Harper, un pugile con all'attivo 14 vittorie. In cosa il suo percorso di cambiamento influirà su questo match?
«A gennaio, contro Rice, sono stato troppo attendista. Ora cercherò subito il Ko, anche se non sarà facile. Harper è un picchiatore. Ma io sono determinato a chiudere presto questo match e a non dare nessuna chance al mio avversario».
E dopo?
«Combatterò tra gennaio e febbraio e il mio obbiettivo, nel medio termine, è di arrivare entro i primi 30 pugili al mondo, entro il 2024. Per farlo, devo sfidare un ex campione del mondo: a questo sto lavorando con il mio maestro, Simone D'Alessandri».
Fino a che anno vuole combattere?
«Difficile dirlo, oggi, ma vorrei stare sul ring fino a 35 anni».
Lascerà l'Italia definitivamente?
«In America ho trovato una seconda casa. Presto potrò ottenere anche la Green card. Questo è un Paese straordinario, ma non dimenticherò mai le mie radici, alla Montagnola. Lì c'è il circolo sportivo dei miei, i miei affetti, gli amici, che non abbandonerò mai».

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