Basket, Datome e la sua America
«Un mondo speciale. Roma? Vincerà»

Basket, Datome e la sua America «Un mondo speciale. Roma? Vincerà»
di Carlo Santi
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Lunedì 2 Dicembre 2013, 09:36 - Ultimo aggiornamento: 17:32
Datome, com’ stato l’impatto con la Nba sul campo?

Bellissimo. Quando si gioca a basket sempre meraviglioso. Poi farlo in queste arene e in mezzo a tanti campioni assolutamente fantastico.

Cosa prova, anche se lo aveva preventivato, a non giocare tanti minuti?

«Non piace a nessuno guardare, tantomeno a me. So però per certo che tanti giocatori più forti di me son passati per situazioni simili. È per questo che affronto ogni problema col sorriso e voglia di lavorare».

Quanto è stata importante l’ultima stagione in Italia per lei?

«Roma per me è stata fondamentale. Avevo spazio ed ero in una squadra che ha raggiunto obiettivi incredibili, grazie al lavoro di squadra: tutto, l’anno scorso, è funzionato alla perfezione. Devo tanto alla Virtus e al presidente Toti».

Ha detto: sgomito per una posizione e aspetto il mio momento. Cosa promette?

«Che mi giocherò le mie carte al meglio, con serenità e consapevolezza di ciò che posso e non posso fare».

Che esperienza è quella americana? È una vita nuova, vero?

«I ritmi son diversi, si gioca praticamente ogni due giorni quindi c’è poco tempo libero. Cerco di avere gli stessi equilibri che avevo in Italia».

Ci spiega le differenze tra il basket italiano e quello americano? Si difende meno, c’è più spazio per lo spettacolo. È davvero tutto così?

«C’è una maggiore fisicità, maggiore velocità, tutto va pensato ed eseguito al volo. Non c’è troppo tempo per pensare. È questa una delle differenze più importanti».

Com’è l’organizzazione americana con tanti spostamenti?

«È tutto come un orologio svizzero. Rispetto alla nostra pallacanestro praticamente viviamo in un mondo a parte: tutto ciò che ruota attorno alla gara è diverso. Si arriva molto prima al palazzo, ognuno è libero di passare le giornate come vuole e i momenti comuni sono praticamente ridotti agli allenamenti e ai viaggi».

Soddisfatto di Detroit? Città e squadra, ovviamente.

«Sì. Mi trovo bene e sto vivendo al meglio questo periodo di ambientamento. La città la vedo poco, vivendo in periferia vicino al campo di allenamento. Però devo dire che non mi manca nulla. In questo periodo c’è anche la mia famiglia a farmi visita, quindi sto davvero alla grande».

Lo spogliatoio. Come si vive lì dentro prima la partita? Ci sono differenze rispetto all’Italia?

«Onestamente questo è un punto comune, nel senso che ogni spogliatoio è diverso ma allo stesso tempo molto simile nelle linee guida. Tutti sono presi e concentrati sulla gara, ognuno a modo suo, ma non ci sono differenze sostanziali. A fine gara la stampa ha accesso all’interno, ma succedeva anche in Eurolega, quindi non è una novità sostanziale».

Joe Dumas, il general manager dei Pistons, è interessato al nostro calcio. È vero?

«È un po’ interessato a tutto ciò che accade in Italia. Abbiamo parlato di Balotelli, a volte di Berlusconi, in generale è un tipo curioso e che ha mille interessi».

Cosa si aspettano i Pistons da lei?

«Mi hanno preso per aprire il campo e creare spazio per i lunghi che abbiamo. E poi per dare una mano a rimbalzo e in altre piccole cose in campo».

Il suo compagno Drummond di lei ha detto: Gesù è venuto a salvarci. Come ha preso questa battuta?

«È stato simpatico. In spogliatoio c’è un ottimo clima e lui è un ragazzo molto aperto e simpatico».

A Detroit ha ritrovato Brandon Jennings, compagno a Roma quando era appena arrivato. Alla Virtus non gli hanno dato fiducia. Adesso com’è?

«Si è ritagliato uno status importante in Nba. Ritrovarlo a Detroit onestamente mi ha fatto effetto. Della serie “come è piccolo il mondo?”. Ora Bandon è un play di livello, è cresciuto tanto, ma non dimentichiamoci che quando era a Roma aveva 18 anni... Ora ha molta più fiducia in se stesso».

Nazionale. L’Europeo non è stato felicissimo avendo mancato la qualificazione al Mondiale. Se non arriverà la wild card, l’estate prossimo sarà alle qualificazioni per gli Europei?

«Le ultime 13 estati le ho passate con la nazionale. È sempre stata la mia priorità. E l’ho dimostrato questa estate giocando con un piede malconcio, cosa che mi ha costretto a saltare 20 giorni di preseason qui a Detroit».

Con gli altri tre italiani in America è in contatto?

«Ci sentiamo, ma qua i ritmi sono frenetici. Sono andato a cena col Mago quando abbiamo giocato contro, appena possiamo ci troviamo. Anche con Gallo spesso ci scriviamo. Ho con tutti e tre un buon rapporto».

Dall’America segue il nostro campionato. Roma non va bene come l’anno scorso. Cosa non va?

«Non c’è nulla che non va. Nel senso: c’è una stagione nuova, un gruppo nuovo, un allenatore nuovo. In campionato ha 4 vinte e 3 perse, una in più dell’anno scorso, quindi non farei una catastrofe. Sento dire di atteggiamento e cuore: è vero, ma i tifosi non devono dimenticarsi che ogni anno è diverso e i giocatori non sono fatti con lo stampino. Dalmonte è bravo e va fatto lavorare, più di questo non posso dire anche perché non ho mai visto le partite».

Lei era il trascinatore, in campo ma soprattutto nello spogliatoio. Oggi a Roma un leader manca. Chi deve prendere il suo posto?

«Non ne ho idea. Ci sono giocatori validi, molti li conosco. Ma l’anno scorso il leader vero era il gruppo!».

Quanto ha inciso, secondo lei, la scelta di non confermare Calvani?

«Marco aveva un legame particolare con la città e la piazza, questo aiutava sicuramente. E lui era parte di una stagione strepitosa. È stata fatta una scelta, che non sta a me giudicare. Però Luca è un ottimo tecnico, non credo per nulla che il problema sia il manico».

Oggi c’è Roma-Milano. Uno scontro sempre affascinante. L’Armani quest’anno può vincere il titolo?

«Credo sia la favorita, ma in Italia può sempre succedere di tutto visto l’estremo equilibrio che regna».

Come ha vissuto il dramma della Sardegna nei giorni scorsi?

«Da qua, a distanza, mi ha fatto malissimo non poter fare qualcosa di concreto. Vedere la mia terra soffrire in quel modo è stato straziante».

Italia-America. Qual è la differenza nella vita di tutti i giorni per un campione dello sport?

«La vita onestamente qua è fatta di viaggi e allenamenti, rispetto al passato è questa la differenza maggiore».

Cosa l’ha sorpresa di più negli Usa?

«Niente in particolare. C’ero già stato e tanti compagni mi avevano raccontato come funziona il mondo Nba».

Bryant o LeBron? Chi è il migliore?

«Kobe per la carriera splendida, LeBron ora».

Come ha festeggiato il tuo compleanno qualche giorno fa?

«C’era tutta la mia famiglia, siamo stati insieme e mi sono regalato 4 punti contro i Bulls. Diciamo che non mi posso lamentare».

Adesso nella Nba siete in quattro. Chi sarà il prossimo italiano ad arrivare?

«Bella domanda. Abbiamo tanti talenti che possono venire di qua, ma è fondamentale trovare la situazione giusta. Nomi non ne faccio per non mettere pressione addosso a nessuno, ma è ovvio che dipenderà da come andrà la stagione».

Ultima domanda. Ci racconta l’alt della polizia a Detroit per eccesso di velocità?

«Non mi ero reso conto che ci fosse un limite di 25 miglia orarie in una strada molto grande. Mi hanno fermato e hanno capito che ero in buona fede e che ero appena arrivato. Ma non credo mi grazieranno ancora».

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