Sollima e la seconda serie di Gomorra:
«Torna la realtà meglio dei romanzi»

Sollima e la seconda serie di Gomorra: «Torna la realtà meglio dei romanzi»
di Micaela Urbano
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Domenica 3 Agosto 2014, 15:07
Non poteva finire qui. Un successo esplosivo di pubblico e critica come quello di Gomorra, la serie doveva avere un seguito. Soprattutto se per il prossimo capitolo, purtroppo non c’è molto da inventare. Basta guardarsi attorno, come ha fatto e continua a fare Roberto Saviano, cinico, poetico cronista di una realtà talmente dura da sembrare romanzata, mentre è il contrario. Così, dopo la strepitosa vendita estera (50 i Paesi acquirenti tra cui il Regno Unito che lo manda in onda domani sera), tra poco la squadra di Gomorra tornerà al lavoro. Per realizzare un altro western metropolitano ad alta tensione. A Scampia, e Casoria, e Fuorigrotta.



IL CINEASTA

Con un regista di uno stile inconfondibile, tra pulp & verità, che addirittura riesce a cambiare impronta da un episodio all’altro, e capace di realizzare un lungo film neorealista, «ma di genere. Credo», dice, «che il genere sia l’unico mezzo per poter confezionare artigianalmente un prodotto di qualità. Come si faceva una volta, ma con in più l’aiuto della tecnologia». Ovvio che il genere di Stefano Sollima sia «il thriller, la gangster story. Ciò non significa solo violenza. Ma personaggi, uomini e donne divisi tra il bene e il male. Oppure senza la minima cognizione del bene e del male, naturalmente amorali. Gomorra è il racconto di un mondo sconosciuto e lontano eppure vicinissimo». Un universo in cui i criminali si raccomandano l’anima a Dio prima di uccidere i loro nemici, pregano San Gennaro e la Madonna come se snocciolassero riti scaramantici invece del rosario, e poi, come se buttassero giù un bicchiere d’acqua, sparano, accoltellano, lanciano bombe, spezzano ossa, fracassano crani, appiccano incendi, piangono lacrime vere per un amico spedito al Creatore. Sono nati in quartiere unti e bisunti, appartamenti kitsch, cresciuti tra oggetti dorati, macchie nere di umidità, proiettili e revolver. In quei palazzoni altissimi chiamati Vele, che nel buio sembrano una minacciosa New York mentre il giorno svettano nello squallore di vicoli e strade. «Quando eravamo a Scampia - la popolazione ci ha aiutato quasi in massa - stavamo per girare una scena in cui un bar salta per aria. E davanti ai nostri occhi ne è esploso uno davvero... Sono convinto che quell’episodio, come alcune sparatorie per strade e tanti altri, ci si siano attaccati addosso e in qualche modo siano entrati nella nostra serie...», racconta Sollima. Che è pronto a ricominciare: «Nuovo cast, nuovi provini - la maggior parte dei personaggi è morta - nuove location». Oltre a Scampia: «Oltre alla primadonna della Terra dei fuochi, certo». Che effetto fa tornarci? «È un po’ come capitalizzare quanto investito in passato ... Conosciamo già i quartieri, le persone, i pensieri, la mentalità. Siamo avvantaggiati. Quanto a questo secondo capitolo, lo facciamo perché c’è ancora molto da dire».



IL MERCATO

Soddisfatto che il prodotto sia diventato internazionale? «Lo abbiamo realizzato proprio mirando a una competizione con altri telefilm esteri, che so?, magari americani...».
La ricetta vincente? «Raccontare storie nostre, italiane. Raccontarle attraverso il genere, rivisitato e corretto grazie ai mezzi di oggi. E soprattutto non barando. La realtà è più potente di qualsiasi romanzo. Basta fotografarla così com’è per realizzare un prodotto spettacolare».
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