E Sandokan, lo è stato da subito. Sollima, Scardamaglia e lo scenografo e costumista della serie, Nino Novarese avevano deciso di scegliere un interprete asiatico e, racconta Kabir Bedi, avevano progettato di girare dieci città per trovarlo, cominciando da Bombay: «Là sono il primo che incontrano. Novarese dice a Sollima: “secondo me è quello giusto, non credi?”. Sollima risponde: “anche per me. Ma gli voglio fare un provino a Roma”. Fatto sta che hanno continuato la loro ricerca, io poi li ho raggiunti in Italia. E sono diventato Sandokan per sempre».
Era l’Italia del 1976. Quella di Baglioni,Anima mia, Patty Pravo e il Governo Andreotti. L’omicidio di Pasolini, gli Anni di Piombo che scottano sempre di più, la disco music, la lacca sui capelli, le treccine, la minigonna, l’eskimo, le bombe in tasca. I telegiornali che imperano, i grandi varietà di Falqui. E il Paese è ipnotizzato dalla tv. E diventa matto per Sandokan. Sandokan, simbolo del coraggio, protagonista dei romanzi di Salgari - compagni di gioventù dei ragazzi dai primi del Novecento in poi - che si trasformano in sceneggiati grazie al produttore Elio Scardamaglia e soprattutto a Sergio Sollima, che realizza il primo kolossal d’avventura per il piccolo schermo. Serie record di ascolti che inchioda al video più di 25 milioni di spettatori. Tutti pazzi per la Tigre della Malesia, principe spodestato dagli inglesi e diventato il più temibile dei pirati. Così tanto pazzi da battezzare Sandokan più di tremila poveri neonati...
A Sandokan e al suo regista, scomparso lo scorso luglio a 94 anni di età, ai suoi interpreti, il Roma Fiction Fest ha dedicato una retrospettiva. Celebrando il prototipo di un genere nato dalla commistione della tecnica cinematografica e del linguaggio televisivo. Nella sala 6 dell’Adriano di Roma, di fronte al pubblico c’è anche Sollima jr, quello Stefano insuperabile regista di gangster story (da Romanzo criminale, la serie, al Gomorra tv, da Acab a Suburra), che dal padre ha ereditato passione e mestiere: «Per ogni autore c’è un lavoro che lo rappresenta meglio. E nel caso di mio padre - dice - la scelta era facile. In Sandokan c’è tutto il suo amore per il genere, senza compromessi. C’è il suo impegno politico, come uomo di sinistra: l’eroe della serie è un anti imperialista con un congenito senso di giustizia». Sandokan un ribelle, quindi. Così come all’epoca la sigla, di Guido e Maurizio De Angelis, è di rottura. Così poco tradizionale quel “Sando-kan/Sando-kan” da essere sulle prime rifiutata dai dirigenti della Rai. Che prima di fare marcia indietro dànno parecchio filo da torcere a produttore e al regista, convinti da subito da quel brano che vende 6 milioni di dischi nel mondo.
All’incontro c’è anche il conte di Montecristo, al secolo Andrea Giordana, che nello sceneggiato interpretava : Sir William Fitzgerald. E c’è la Perla di Labuan, la deliziosa Carol André che ha tagliato boccoli e treccine per diventare una gentildonna molto chic. «Ricordo tutto come fosse adesso», dice e lo sguardo è lucido e malizioso: «Questa serie kolossal della Rai, sarebbe dovuta essere la prima a colori, ma quando andò in onda era ancora in bianco e nero. Eppure il pubblico la ricorda a colori. Che sia stata la forza della passione?».
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