Teatro, Mario Eleno riapre il Chisciotte a Montecelio: «Di nuovo pronti a galoppare contro i mulini a vento»

Teatro, Mario Eleno riapre il Chisciotte a Montecelio: «Di nuovo pronti a galoppare contro i mulini a vento»
di Elena Ceravolo
5 Minuti di Lettura
Giovedì 13 Maggio 2021, 13:52 - Ultimo aggiornamento: 14:41

Vivere di teatro, che fatica. Pur di non mollare può anche capitare di trovarsi a lavorare in una “fetente tabaccheria” di Napoli, da impiegato, e da dietro quel bancone osservare il mondo con lo sguardo dell’artista per farne un libro di successo. Il romanzo “Tabaccheria” ha incassato il terzo posto al concorso nazionale di poesia e narrativa Talenti Vesuviani, una menzione di merito al concorso internazionale di letteratura Milano Metropoli, la finale al Premio Nabokov e a quello dedicato a Charles Bukowski. Forse su quel bancone Mario Eleno qualche volta ha avuto anche la tentazione di salire, perché è quello il suo istinto: il palco. Trentotto anni, attore, regista, narratore e traduttore. A 17 anni ha debuttato leggendo i Canti di Leopardi, ha lavorato con Luca Ronconi al Piccolo Teatro Strehler di Milano, diplomato alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano e alla scuola di Mimo Corporeo di Napoli, dal 2015 traduce e legge le poesie di Blaise Cendrars, e scrive, e lancia i reading di Teatro Porto Aperto in spazi artistici alternativi di Napoli, Genova, Roma, Bari e Perugia.

A Montecelio, il suo borgo di origine, che guarda Roma dai Monti Cornicolani, tiene il punto della sua arte con un minuscolo teatro, il Chisciotte, che proprio nei giorni scorsi ha riaperto dopo il deserto della pandemia. Di nuovo “pronti a galoppare contro i mulini a vento” con il Festival di Maggio: cinema, musica, concerti di poesia, dibattiti. Una cinquantina di posti (ora più o meno la metà) in una magica cantina di pietra. Il 23, alle 18, “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono, la storia di un uomo che, senza mai arrendersi, riesce a riforestare da solo un'arida vallata delle Alpi: sul palco Mario Eleno, Sara Roscetti, Alessandra Barbonetti e la violoncellista Ulrike Pranter. Il 14, 15 e 16 maggio i “Basta poco in concerto” con “Sembra venuta dal suo sorriso”. E il 29 film e dibattito: “Punto di non ritorno”.

Si riparte, Mario Eleno, nonostante tutto. Ma la tua stessa esperienza racconta della grande difficoltà di vivere di teatro…

“Non è soltanto difficile, si tratta di un'impresa quasi impossibile, perché l'importanza etica ed estetica del teatro è stata abbassata fino all'ultimo rango nella gerarchia delle necessità umane. Si è sputato sopra la sua funzione sociale e politica. Durante l'emergenza si è potuto fare a meno del teatro, però non delle chiese, o dei centri commerciali, o degli stadi di calcio, o peggio ancora degli studi televisivi. I cinema sono stati chiusi, tuttavia le produzioni cinematografiche sono andate avanti, anzi triplicate: Netflix, Amazon, Sky e simili hanno aumentato enormemente i propri guadagni”.

E cosa vedi guardando questo panorama?

“Quello che io chiamo "l'omogenizzato cinematografico".

Prodotti tutti uguali, di massa, senza sapore, pappette volte solamente al consumo, come barattoli ammucchiati sugli scaffali di un supermercato. L’appiattimento dei tratti irripetibili delle singolari anime. Il teatro, all'opposto, produce merce destinata a rimanere inconsumata. E, quando è vero, quando succede e appare, non è mai mediocre, è un'esperienza formidabile, degna di essere ricordata per sempre, e può cambiare irreversibilmente le persone, cambiarle in meglio, generare esseri pensanti e creatori che si pongono in maniera ferocemente critica di fronte alle questioni del mondo e della vita, che sollevano dubbi”.

E l’attore di teatro come si sente?

“Oggi per l'attore l'esistenza è una tribolazione. Eppure questo non mi abbatte, al contrario mi aizza, perché come sosteneva Eduardo e come conveniva Carmelo Bene, un attore diventa migliore quando gli si complica la vita. Non ho paura dei casini che devo affrontare in quanto artista, so che la pressione esterna non può che rendermi più grande; aspetto, come un animale, e al momento giusto attacco”.

Cosa pensi del teatro in streaming?

“Deplorevole. Vivere di teatro è quasi impossibile, ma chi ha detto che il teatro ha che fare con il possibile? Il teatro è il peggior nemico del possibile e dell'ovvio e del facile e del consolatorio. L'errore grossolano che fanno molti teatranti è di importare schemi televisivi sul palcoscenico per paura di non piacere all'opinione pubblica, di non essere riconosciuti, di non avere più consenso. Veracemente me ne frego di loro, di come si arrangiano, il teatro non morirà certo per colpa delle scelleratezze che fanno, il teatro non morirà per un dpcm più severo e nemmeno perché il pubblico verrà ridotto del 50% il mese prossimo, il teatro scomparirà quando scomparirà l'uomo, di questo sono certo. Mai arrendersi quindi. Per quanto mi riguarda, sono contento delle scelte che sono stato finora anche se mi sono costate un percorso artistico più crudele. Se per un po' non riuscirò a comprarmi da mangiare con il teatro, andrò a faticare in qualche altro posto, come feci un paio d'anni fa quando mi buttai dentro una fetente tabaccheria di Napoli in veste di impiegato. Da quell'esperienza ho ricavato poi un'opera d'arte, l'ho volta in operazione creativa scrivendo "Tabaccheria".

Cosa è Tabaccheria?

“E’ uno spaccato recrudescente della nostra società, frenetica e convulsa, raccontato dal bancone di una tabaccheria di Napoli, un lavoro da impiegato per la sopravvivenza in un ambiente asfittico e intossicante, eppure occasione di incontro con tipi stravaganti, gli ultimi, la quinta ruota del carro. Ma ci sono anche pagine di dolcezza, in una Napoli città dell’impossibile”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA