Maazel, il sorriso della musica: il celebre musicista si è spento nella sua Virginia

Lorin Maazel
di Rita Sala
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Lunedì 14 Luglio 2014, 13:38 - Ultimo aggiornamento: 15 Luglio, 13:39

Lorin Maazel morto nella sua Virginia, della quale decantava i prati, i cieli cobalto, il silenzio, disturbato di rado e solo da pochi rumori. Aveva 84 anni. Poche settimane fa, con una lettera pubblicata anche dal suo sito web, si era ritirato dalla direzione d’orchestra. «I miei medici mi dicono – aveva scritto – che per fare questa professione come l’ho sempre fatta dovrei essere in perfetta salute.

Poiché non è così, preferisco lasciare in anticipo rispetto ai tempi i miei impegni fissi e pensare, semmai, a qualche concerto ogni tanto». Il maestro se n’è andato tra le biade di Castleton Farms, nella sua tenuta, mentre preparava l’annuale festival locale, al quale ha sempre tenuto moltissimo. Voleva essere un matematico e uno scrittore, ma quando prevalse in lui la passione per la musica, cominciò un’ascesa vertiginosa verso i massimi vertici della stessa. Tra i tanti incarichi che ha rivestito, è stato direttore artistico dell’Opera di Berlino, direttore musicale della Radio Sinfonica di Berlino, dell’Orchestra di Cleveland, della New York Philarmonic, dell’Orchestre national de France. Ha ricevuto dieci Grand Prix du Disque Awards e, tra le tante onorificenze, la Legion d’Onore francese e il titolo di Ambasciatore di Buona Volontà dell’Onu. Parlava inglese, francese, tedesco, italiano. Nel 1960 è stato il più giovane, e primo tra gli americani, a dirigere a Bayreuth, roccaforte della musica di Wagner (fu un Lohengrin). Ha composto opere e pezzi sinfonici. Il suo primo lavoro per il palcoscenico è “1984”, dal romanzo di Orwell, rappresentato a Londra nel 2005. Oltre trecento le incisioni discografiche, tra le quali i cicli completi di Beethoven, Brahms, Mahler, Sibelius, Rachmaninov e Ciaikovskij. Ha diretto il concerto di Capodanno a Vienna, con i Wiener Philharmoniker, dal 1980 al 1986, poi nel 1994, 1996, 1999 e 2005.

LO STILE

Difficile credere alla sua scomparsa. Maazel aveva un ritmo di lavoro e di vita a dir poco frenetico e un’invidiabile forma fisica. Compiendo gli ottant’anni disse, tra l’altro: «Una volta giocavo a tennis, ma adesso non ho un minuto di tempo per continuare... L’unica ginnastica che faccio è sul podio, dirigendo le orchestre». A chi gli chiedeva come fosse riuscito ad abbandonare il violino, per i quale i suoi professori giuravano avesse un talento immenso, rispondeva: «So che gli psicanalisti identificano il violoncello con una donna da abbracciare e il violino con una piccola donna. Quello che posso assicurarvi è che io amo il violino come le donne. Del resto la mia vita ha avuto varie possibilità. Quando ero giovane sono stato tentato da molte vie diverse, poi la musica ha preso il sopravvento. Ci ho creduto. La musica è una professione affascinante, mi ha permesso di conoscere Paesi nei quali non sarei mai andato. E mi ha aiutato ad amare la vita, cosa che ho cercato di trasmettere ai miei sette figli. La passione di vivere è fondamentale».

Ha adorato le voci. Maazel: «Mio padre era cantante – raccontava - e fin da piccolo sono stato abituato a considerare la voce umana qualcosa da godere, qualcosa di magico, quasi celestiale». Gli piaceva Puccini, alla cui religione si era convertito dopo aver diretto un ciclo di opere del compositore italiano alla Scala di Milano: «Puccini è facile da ascoltare, ma molto difficile da dirigere». Rimaneva però legato a Verdi, che non esitava a definire il suo preferito: «Verdi ha raggiunto un livello di ispirazione assolutamente unico e irripetibile».

Sul piano umano, riusciva a parlare di qualsiasi argomento, con proprietà e senza reticenze. Confessava di temere come l’inferno qualsiasi tipo di infermità: «Stando bene posso fare al massimo livello la mia professione e gustare il sapore della vita, in tutte le sue manifestazioni, questo mi importa al di sopra di tutto». Dev’essergli costato moltissimo dire addio al podio, ritirarsi tra i campi, in Virginia. Avrà forse pensato alla raccomandazione che, prima o poi, faceva a chiunque: «Sorridete. Io mi sono abituato a sorridere. Ci sono tante mie fotografie nelle quali non sorrido per niente… Che errore! La musica, ad esempio. è un sorriso, per l’orecchio e per l’anima».

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