Ghali: «Fedez fu il primo a credere in me, ora non ci sono rapporti»

Ghali: «Fedez mi diceva: non farai mai nulla»
di Mattia Marzi
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Venerdì 21 Febbraio 2020, 10:42 - Ultimo aggiornamento: 12:19

Ghali piombò sulla scena hip hop italiana come un asteroide. Il suo primo disco, Album, spalancò le porte della discografia a una nuova generazione di artisti partiti dal basso e arrivati a tagliare traguardi importanti grazie al web. Cresciuto solo con la madre (per via dei problemi con la giustizia del padre, finito in prigione quando lui era solo un bambino) tra le case popolari di Baggio, periferia milanese, Ghali (vero nome Ghali Amdouni, 27 anni a maggio) in questi tre anni ha visto la sua vita cambiare, tra Dischi d'oro e di platino, collaborazioni internazionali e un tour nei palasport. Ora il rapper di origini tunisine torna con Dna, il nuovo album (nei negozi da oggi). Per dimostrare di non essere più solo un fenomeno.
Quanto è stato difficile adattarsi a questa nuova vita?
«Non ho ancora realizzato quanto sia cambiata. E come me anche chi mi sta accanto, a partire da mia madre. È tutto così grande».
Cosa le piace del successo?
«Il fatto che ora posso dedicarmi completamente alla musica: sono riuscito a trasformare quella che era la mia passione in un lavoro».
E il lato negativo?
«Purtroppo non posso occuparmi solo di questo. Fare il cantante, oggi, significa essere anche imprenditore di se stesso».
La sua etichetta, Sto Records, è stata acquisita dalla multinazionale Warner: Ghali è anche un talent scout?
«Mi diverte scoprire emergenti. Voglio fare quello che non i grandi artisti non hanno fatto con me».
Bussò a molte porte prima del successo della sua hit Ninna nanna?
«Sì, ma nessuno apriva. Erano troppo presi dalle loro carriere».
Il primo a credere in lei?
«Fedez. Lo accompagnai in tour nel 2012. Poi chi non mi ha aiutato è venuto a chiedermi duetti. In questo ambiente c'è molto opportunismo».
Nella canzone che dà il titolo all'album dice: Ricordo quando mi dicevano non farai mai nulla e resterai per sempre nel buio in un angolo. Oggi come risponde?
«Con i successi. Voglio dirlo, perché è giusto che la gente lo sappia: fu proprio Fedez a dirmi quelle cose, quando eravamo in tour insieme. Io mi esibivo insieme al mio primo gruppo, i Troupe d'Elite, ma il successo tardava ad arrivare e venivamo costantemente attaccati. Fedez mi diceva: Guarda quali sono i riscontri... Cosa potresti mai fare? Quale potrebbe essere il tuo messaggio? Cosa potresti raccontare agli italiani? Fatti odiare».
Oggi i rapporti come sono?
«Non ci sono rapporti. Ogni tanto prova ad avvicinarsi, ma io cerco di evitarlo».
Tra di voi non sono mancate frecciatine. L'anno scorso, commentando il suo disco Paranoia airlines, scrisse sui social: Che noia airlines. Se ne è pentito?
«No. Era ciò che pensavo. Forse ho sbagliato, perché nessuno sa quanto tempo e quanta dedizione ci sia dietro un disco. Se la prossima volta farà un disco brutto, eviterò di commentarlo».
Anche lei è spesso attaccato e lo racconta nelle canzoni, come in Fallito. Il successo è stata la sua rivincita?
«È così. Mi ricordo i bellocci della scuola, che poi nella vita non hanno concluso niente. Io, invece, ho preso sempre tanta merda».
Cuore a destra è un titolo fraintendibile per una canzone, non trova?
«Ma in realtà il pezzo parla di tutt'altro: nel testo dico che il mio cuore si sposta a destra quando provano a colpirmi».
E a livello politico il suo cuore dov'è?
«Non me ne intendo di politica, so solo che l'odio non mi piace. È giusto che un politico faccia il suo lavoro e che cerchi di applicare il suo programma, ma senza cavalcare l'odio. La comunicazione va cambiata».
A Sanremo ha fatto parlare di sé soprattutto per la trovata della caduta dalla scalinata.
«Era la metafora della mia caduta personale dopo il successo del disco. Una volta raggiunti gli obiettivi che mi ero prefissato, mi sono bloccato. È stata la scrittura a farmi rialzare».
Quest'anno ci sono state polemiche legate ai testi dei rapper al Festival. Qualcuno le ha chiesto di leggere quelli delle sue canzoni prima dell'esibizione?
«No. Ma se ti piace un artista non lo devi chiamare solo per i numeri che può generare e poi fare polemica sui testi: meglio non chiamarlo per niente».
Il nuovo album sarà presentato nei club: i palasport arrivarono troppo presto?
«Diciamo che il tempismo non fu perfetto: quel tour partì quasi due anni dopo l'uscita del disco. Oggi non voglio più fermarmi».
 

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