Baglioni, festa al Palalottomatica: «Il mio concerto è un cantiere, come l'Italia». E distribuisce caschetti

Claudio Baglioni
di Marco Molendini
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Martedì 18 Marzo 2014, 20:59 - Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 13:20
Il mio concerto un cantiere, come l'Italia dice Baglioni prima di salire sul palco del Palalottomatica. E, a conferma delle sue intenzioni, distribuisce ai suoi spettatori un caschetto da operaio.



La scena fa il resto e conferma quanto Claudio ci tenga a dare alla sua performance l'aspetto di un work in progress: «Questo è un concerto da architetto» dice. Un architetto alla ricerca della costruzione di un'opera e che vede la sua prova come un test che viaggia parallelo alle cose del paese. Fronte sul quale non nasconde le sue perplessità: «Non credo alle capacità di questa classe dirigente che ha sempre fatto poco. Un leader non basta». Ma Claudio canta e cantando ha trovato nuove energie: «Ogni sera, quando finisco lo show, potrei persino volare, tanta è l'adrenalina che ti dà il contatto con il pubblico», confessa. Ed eccolo, gladiatore che non si risparmia con le sue trentatrè canzoni da recitare una dopo l'altra. Un viaggio baglioniano senza tempo, fra ieri, l'altro ieri e l'oggi. Ci sono le canzoni di una vita e le canzoni scritte per l'ultimo album, ConVoi, il primo di inediti dopo una lunga pausa creativa. Confessa Claudio: «Mi sono riconosciuto nelle motivazioni dell'addio di Ivano Fossati, soprattutto quando ha detto che non ce la faceva più perché ogni parte della sua vita era finalizzata alla produzione musicale. E io sono vent'anni che penso di smettere. Anzi, non avrei mai pensato di durare tanto, perché ai miei tempi i veterani venivano osteggiati come è capitato a Claudio Villa». E così, aggiunge: «A dire addio ci penso dai tempi di Oltre. Mi sarebbe piaciuto fare come Mina. Sparire, diventare sublime, qualcosa che c'è e non c'è».



Invece, Claudio c'è e si vede e si sente nelle tre ore energiche del suo ConVoi: «Una prova fisica», la definisce. Una maratona che parte a sipario chiuso da Notte di note, note di notte e va avanti per capitoli in un viaggio tenuto insieme da un filo rosso narrativo che non tralascia quasi nulla (ma qualche assenza è inevitabile) nella convinzione che «il successo è un patto che si stabilisce con il pubblico» e che sono finiti i tempi dei ribellismi. Di quando Fossati non cantava La mia banda suona il rock o De Andrè rifiutava di fare La canzone di Marinella e io suonavo Questo piccolo grande amore in altro modo per non farla cantare alla platea. Quello era un modo di fare contro il pubblico. Se hai ribrezzo del pubblico, e ci sono artisti che lo hanno, è meglio smettere. Il tuo pubblico non puoi sceglierlo». Invece Claudio alla sua gente ci tiene e si vede, si sente e lo dice: «Ci sono miei canzoni che mi fanno commuovere fino a piangere». Quali? «Per esempio quando ho scritto Patapàn, dedicata a mio padre, in studio non riuscivo a cantare, singhiozzavo. Ma anche fra le nuove ci sono canzoni che mi tolgono il fiato come In un'altra vita e L'isola del sud». Canta e ci tiene Baglioni e si sente nelle vibrazioni, nella generosità, nell'applicazione e nel perfezionismo con cui le confeziona, accompagnato da una band di tredici musicisti, tutti multistrumentisti passando da vecchi successi come Poster o l'immacabile Mille giorni di te e di me (la canzone preferita), dalla classica Qpga, dalle canzoni nuove che sono cinque o sei. Il pubblico è ai suoi piedi, arriva alla fine della maratona e ha anche la forza di chiedere il bis (e Claudio di farlo). E adesso? Adesso si va avanti, con le altre tappe. Poi sosta estiva e ripresa in autunno. Nel mezzo ci sarà il tempo per scrivere i pezzi del nuovo album. E magari per pensare a nuove avventure: «A Sanremo avevo proposto di darmi uno spazio per ricantare brevemente i pezzi in gara come faceva Lionel Hampton, il mitico vibrafonista nello storico Festival del 1968. Ma non è stato possibile». Chissà che la proposta non venga buona per la prossima edizione.
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