Firenze rende omaggio a Pontormo e Rosso Fiorentino: i gemelli diversi dell'arte

Firenze rende omaggio a Pontormo e Rosso Fiorentino: i gemelli diversi dell'arte
di Fabio Isman
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Venerdì 7 Marzo 2014, 12:02 - Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 11:28
Li chiamavano i gemelli dell’arte, perch nati entrambi in Toscana nel 1494, e alla scuola di Andrea d’Agnolo di Francesco di Luca di Paolo del Migliore Vannucchi, detto pi semplicemente del Sarto (1486 – 1530).

Ma in realtà, Jacopo Carucci, chiamato Pontormo dal luogo di nascita in provincia di Empoli, e Giovanni Battista di Jacopo, detto Rosso Fiorentino perché partorito sull’Arno, avranno vite, e modi di dipingere, totalmente diversi. Pontormo diverrà l’artista di fiducia dei Medici; Rosso emigrerà in Francia e sarà il pittore di Francesco I, dopo aver avuto «grane» multiformi nella città natale. E per vedere quanto fossero differenti nell’arte, basta venire a Firenze, fino al 20 luglio, dove Palazzo Strozzi dedica loro la rassegna più ampia ed esaustiva forse mai organizzata: 92 opere, il 70 per cento di quanto d’entrambi è oggi trasportabile.



Una mostra che è un evento, difficilmente ripetibile; con scarso onore per Baltimora e Berlino che, uniche, hanno negato le proprie opere. Di quelle in mostra, ben 21 sono state restaurate per l’occasione: i confronti mostrano che, prima, in piccoli luoghi o su scomodi altari, erano pressoché impossibili da ammirare. Si va dalle grandi pale ai ritratti; scene di solito religiose, però Pontormo si concede la storia antica per i carri del Carnevale e gli affreschi nella villa medicea di Poggio a Caiano, con una lunetta che mostra Vertumno e Pomona; e al mito remoto guarda anche Rosso, specie una volta raggiunta la Francia: la svenevolezza della Morte di Cleopatra, dipinta ancora a Roma, è degna di una copertina.



GLI INIZI INSIEME

Cominciano insieme: all’Annunziata, ciascuno affresca una scena, e il loro maestro la principale. Poi, si fanno una «guerra» di pale d’altare, eternando ognuno una Madonna. E già qui, si vede che la cifra dei due è il colore acceso: «Una cromia esaltata a e potente, unica nel Cinquecento», spiega il direttore degli Uffizi Antonio Natali, che, con Carlo Falciani, è curatore (cat. Madragora) della mostra. I due si rivelano presto anticonformisti e spregiudicati, campioni della «maniera moderna» di fare arte, come dice Vasari. Pontormo guarderà presto al Nord: alle stampe di Dürer; ma Rosso si rifarà alle lezioni più antiche, di Masaccio e di Donatello. Entrambi ci lasciano capisaldi assoluti del dipingere d’allora. A Pontormo, scriveva Luciano Berti, «la semplicità era negata»; mentre Rosso è maggiormente estroverso. Il primo non lascia mai, o quasi, la propria città; il secondo percorre la regione, va a Napoli, Roma, in Francia; morrà a Fontainebleau nel 1540, e Pontormo nel 1557 dove era nato.



L’ORIGINALITÀ

Una pala è rifiutata a Rosso perché al committente «tutti quei santi parvero diavoli»; lui fornirà opere quasi solo ai «savonaroliani» della città del giglio; il disegno d’un nudo di Pontormo sembra già perfino Schiele, mentre in un Autoritratto guarda allo spettatore, con l’indice puntato, sembra già un «selfie»; di lui si sanno parecchi dettagli: in un diario, annota con minuzia ciò che mangia e con chi, le facezie della vita, e le proprie angosce, specie per la morte; si ritiene «disordinato d’exercitio, di panni, o di coito». E, alla fine, rileggerà molto Michelangelo: tra i suoi rari viaggi, uno a Roma: per vedere la Sistina. Nei quadri di Rosso, invece, non c’è mai posto; le figure che sembrano debordare, lo diceva già Vasari. Se ne va a Roma, è nella cerchia di Clemente VII Medici: «La banda di via Giulia», diceva Briganti; poi, incisioni per mantenersi, e gli aprono la strada della Francia e del re. A Napoli non aveva disdegnato di rifarsi anche a Parmigianino.



LE CURIOSITÀ

Siamo alla fine. Nella Deposizione di Rosso, un cattivo assume le sembianze di un mostro («uno scimmione», dice James Bradburne, l’«anima» di Palazzo Strozzi), mentre con quella di Pontormo diverranno due tableaux-vivant nella Ricotta di Pasolini, per spiegare quanto davvero i due siano moderni. E di quest’ultimo, Bill Viola fa, nel 1995, uno «video rallentato» per la Biennale, esposto accanto a touch screen che mostrano i restauri, come i dipinti erano malridotti prima. Le Sacre conversazioni; i ritratti di Rosso: sempre uomini tutti in nero, e sembrano pessimi; l’Adorazione dei Magi di Pontormo, i suoi 10 mila Martiri, la Visitazione, sono capolavori assoluti. In quest’ultimo quadro, al margine in secondo piano, due figurine fanno perfino presagire già il moderno. Mostra da non mancare.
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