I mille volti di Zeichen, da quarant'anni la migliore "guida poetica" di Roma

Valentino Zeichen
di Renato Minore
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Sabato 14 Giugno 2014, 17:29 - Ultimo aggiornamento: 21 Giugno, 11:38
Sono passati quaranta anni dall'esordio di Valentino Zeichen, un Gozzano dopo la Scuola di Francoforte secondo la fotografia critica immediatamente scattatagli dal suo sponsor, Pagliarani. Una felice formula critica in cui il suo autore è restato però quasi ingabbiato, «in un'aura fra neoliberty e neocrepuscolaresimo».



Il «Pierrot lunare con la sua improvvisazione insensata, decorativa, da enfant gaté nonostante la biografia» (un'altra definizione di quell'epoca lontana) replica ora il suo "Oscar" aggiornandolo con tutta la sua produzione di otto libri compreso il recente "Casa di ricreazione" più molti inediti. Giulio Ferroni introduce il libro con un saggio assai partecipato, convinto e convincente che, estraendo un filo coerente e continuo da un libro all'altro, segue le varie tappe di Zeichen, fiumano piovuto a Roma dopo il 1945 dove è sempre vissuto con la sua leggenda di poeta baraccato, di dandy clochard, di eterno sopravvissuto nell'interminabile dopoguerra in un indefinito prolungarsi dell'adolescenza.



Che pure con il tempo si è imposto - caso piuttosto raro nella nostra poesia - con alcuni libri ”monotematici” (la seconda Guerra Mondiale, Roma) e che è poeta dallo stile originale e inconfondibile ad apertura di pagina. Sia che parli delle sue strategie di dongiovanni metropolitano che, come un rapace aereo da caccia, aggancia la preda all'uscita da una galleria d'arte, o che parli di una squadra di incursori della Marina italiana, «eroi / e sportivi insieme», o del confronto tra un varano e un elettrotreno Etr 500, o della vita minima d'ogni giorno tra saponette in bagno e dadi da brodo da usare comunque, nonostante analogie e ricordi imbarazzanti.



Questi temi sono i personaggi e le situazioni di diverse epoche storiche, fissati nella loro consistenza di immagini cartacee. Sono le guerre e le battaglie con la disposizione delle forze in campo, le strategie e gli schieramenti militari di tempi diversi e su tutti appunto la Seconda guerra mondiale, con la diaspora istriana e la morte della madre.



Sono la geografia con suo grafico fissarsi sulle carte, il tempo, con il suo concatenarsi e ripetersi, l'amore e le donne vissute tra struggente tenerezza e ostile aggressività. Sono la pittura e l'architettura, i movimenti e i piccoli oggetti e usi della vita quotidiana, il "banale quotidiano" trasformato in assurdo, il cibo, l'ecologia e lo sport e le metafore cruciali dei dati dell'esistenza da essi tracciate.



Zeichen si aggira tra le rovine romane, in una città insieme maestosa e terribile che si offre all'occhio con la propria storia, nel suo spazio e nel suo tempo, suggellata in schegge luminose, istantanee in un flusso mobilissimo di figure e di personaggi. Come cartoline catalogate da un collezionista "postumo" che si interroga su «quanto resta della gloria trascorsa».



E' una Roma classica, quella dei bassorilievi del Foro, degli architetti rinascimentali che saccheggiarono il patrimonio antico per decorare i nuovi palazzi, dei reticoli urbani scanditi dalla monumentalità dell'Eur.



Ed è una città un labirinto mentale, che mai diventa turistica o di maniera, dove anzi il turismo pietrifica ogni rovina e dove continuamente è evocata l'immagine dello "straniero" capace, con lo sguardo rinnovato dai precetti della sua "guida" poetica, di irrorare di senso ciò che scorre dinanzi al suo occhio. Dove ancora si aggirano i fantasmi di una visione possente come quella del poeta ragazzo che calca gli antichi anonimi cimiteri, sepolti nella sua statigrafia urbana.



Zeichen è una guida amabile e sorniona, gonfio di una saggezza teneramente distillata, che si muove dalla mole del Colosseo al Pantheon al monumento a Vittorio Emanuele, vero «spettro architettonico», fino ai luoghi più contemporanei del Bar della Pace, della Libreria Feltrinelli, della edicola dei fratelli Ercoli a Piazzale Flaminio. Che sa imbastire (come ha ben scritto Valerio Magrelli ) un approccio dallo spiccato carattere ragionativo su cui fa scintille in una sorta di finale acquisizione a carattere cognitivo.



Con la sua lingua secca e affilata, che sa muoversi con chiarezza nella babele dei gerghi contemporanei, ricavandone un'esemplare trasparenza, l'inconfondibile Zeichen di "Casa di ricreazione" ora discetta sull'imprescindibile rapporto tra l'Arca di Noé e Naturalismo, ora ragiona sul tempo che "altera/ i contratti abbozzati/ e sottoscrive soltanto/ quello dell'eterno ritorno".



Ora definisce a modo suo la differenza tra filosofi analitici e continentali, ora bolla con una certa perfidia certi vezzi letterari (la dissenteria dello sperimentalismo e del patetismo di certe mode letterarie), mentre contratta la solita cena, saltabeccando dal Valentino personaggio allo Zeichen poeta, perfettamente simbiotici. E ora s'ingolfa nella farina della commozione che è rabbiosa (negli infernali versi dedicati alla matrigna) o struggente (la "cara mammina" alla specchiera deco). Nella "casa di rieducazione" del suo registro antilirico tutto si miniaturizza in forma minima e disincanta, concreta e impudica. Tutto rientra in una sorta di piccolo canone della poesia contemporanea ormai acquisito. E anzi lo perfeziona con un altro passo verso la complessità gestualizzata, la spinosità ingannevole, la graffiante trasparenza dello suo "squattrinato snobismo".



Valentino Zeichen

«Poesie. 1963-2014»

Mondadori

380 pagine, 8,40 euro
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