Butterfly, mistero d'Oriente: il libro con tavole coloratissime dedicato a Cio-Cio-San

Butterfly, mistero d'Oriente: il libro con tavole coloratissime dedicato a Cio-Cio-San
di Rita Sala
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Domenica 31 Agosto 2014, 11:15
Amore o grillo, donna o gingillo dir non saprei. Certo costei m’ha coll’ingenue arti invescato.

Lieve qual tenue vetro soffiato, alla statura, al portamento sembra figura da paravento. Ma dal suo lucido fondo di lacca come con subito moto si stacca, qual farfalletta svolazza e posa con tal grazietta silenzïosa che di rincorrerla furor m’assale, se pure infrangerne dovessi l’ale».



Così Pinkerton, tenente della Marina degli Stati Uniti, descrive nell’opera di Giacomo Puccini Madama Butterfly (1904, libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica) Cio-Cio-San, la sposa bambina che, sbarcato sulla costa giapponese, si concede per capriccio.



L’OPERA

Il compositore scelse come soggetto della sua sesta partitura lirica la tragedia Madame Butterfly di David Belasco, della quale aveva visto la messinscena al Duke of York’s Theatre di Londra nel luglio del 1900. A propria volta Belasco si era ispirato ad un racconto dell’americano John Luther Long, apparso nel 1898. Puccini studiò a fondo l’ambiente orientale in cui lo sfortunato amore della “piccola farfalla” sfocia in suicidio. Lo aiutarono una famosa attrice giapponese, Sada Yacco, e la moglie dell’Ambasciatore del Sol Levante in Italia, che gli descrissero usi e costumi del loro Paese. E davvero - ad esempio nella celebre aria “Un bel dì vedremo” - la musica incarna con sorprendente verità i caratteri fondamentali della psicologia femminile nipponica: eleganza, ritualità del gesto, fragilità esteriore, infinita capacità di attesa, sterminato coraggio.

La Butterfly pucciniana, alla “prima” assoluta, alla Scala di Milano, fece fiasco, a causa di una stupida congiura antipucciniana. Trionfò subito dopo ed è oggi una delle opere più amate e rappresentate tra quelle del maestro lucchese. Benché stucchevole in certe sue grazie, crepuscolare nella definizione delle atmosfere, la storia della fanciulla in fiore, fedele all’uomo che ama e dal quale ha avuto un figlio al punto tale da autoeliminarsi quando lui le capita davanti con la moglie americana, è così bella da non temere nulla. Nemmeno la “tremenda” soluzione scenica che vede il più delle volte Cio-Cio-San, prima di farsi harakiri, bendare il proprio bambino in proscenio, mettendogli in mano una bandierina a stelle e strisce.



LE IMMAGINI

Ora Benjamin Lacombe, 32 anni, parigino, pittore e illustratore, ha creato un bellissimo volume edito da Rizzoli, Madame Butterfly (da un lato grandi tavole ad olio con immagini della geisha e del Giappone; dall’altro una sorta di paravento con splendide decorazioni di fiori e uccelli, prezzo 30 euro), universo di colori che ci restituisce appieno la figuretta della geisha. Cio-Cio-San veste i kimono tradizionali che donano maestà alla sua breve statura accanto all’ufficiale cui la uniscono un grande amore e un matrimonio effimero, voluttuoso e voluttuario come la vita delle farfalle. Tra i capelli, mentre dorme, proprio le farfalle le fanno da fermaglio, da fascia protettiva contro la luce e la verità, da compagne di bellezza e passione. La sua storia diventa una fiaba e il narratore è Pinkerton, agitato da qualche rimorso e da molta nostalgia.

Le indicazioni editoriali consigliano questo prezioso volume (un esemplare da collezione, come gli altri di Lacombe, dalla Biancaneve ai libri dedicati ai racconti di Edgar Alla Poe e di Victor Hugo) ai bambini di otto anni. Più giusto dire che un bambino, leggendo e guardando, si avvicinerà prima e meglio alla degustazione della Butterfly di Puccini. Ma solo un adulto apprezzerà fino in fondo il non scritto e il non dipinto. Lacombe, nella musmè ieratica e sognante, occhi allungati, languori da corolla di fior di pesco conscia dell’imminente appassimento, versa una dose di sottile erotismo cui solo chi ha già amato può aderire.



«Oh, Butterfly! Non si dice forse che sfiorando le ali di una farfalla la si condanna a morte?» è l’incipit della confessione. In Pinkerton respira l’estenuazione di un legame misterioso, destinato alla sventura: lei appena nata all’esistenza, lui pigmalione entusiasta che la lascia al momento di tornare a bordo. Due mondi, due diverse concezioni del tempo, due antitetici modi di morire.



«Riuscii a staccare gli occhi da lei solo quando sentii rumore di passi dietro di me. Mi voltai: era un bambino che giocava con una bandierina del nostro Paese. Mi osservava con grandi occhi azzurri dal fondo del corridoio. Aveva lo sguardo di sua madre».
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