La Roma di Gabriel Garcia Marquez:
il sogno del cinema e il caso Montesi

La Roma di Gabriel Garcia Marquez: il sogno del cinema e il caso Montesi
di Leonardo Jattarelli
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Sabato 19 Aprile 2014, 15:39 - Ultimo aggiornamento: 20 Aprile, 15:44
Dopo pranzo, Roma cade in un sopore di agosto. Il sole di mezzogiorno resta immobile al centro del cielo e nel silenzio delle due del pomeriggio si sente solo il rumore dell’acqua, che la voce naturale di Roma.

Il giovane Garcia Marquez passeggiava per le vie della capitale, aveva ventisette anni, incantato dalle meraviglie della città eterna, senza sapere che il rapporto con Roma sarebbe stato uno dei più difficili e controversi del suo vagare di giornalista e scrittore in Europa. A 21 anni si era trasferito a Cartagena dove aveva iniziato a lavorare come redattore e poi reporter de “El Universal”; l’anno successivo si spostava a Barranquilla per lavorare come opinionista per “El Heraldo”. Nel 1954, Gabo per “El Espectador” viene inviato a Roma. Il suo sogno, lavorare nel cinema. Con il sostegno del regista argentino Fernando Birri, si iscrive ai corsi di regia del Centro Sperimentale sotto la guida di Cesare Zavattini. Tenta anche, senza successo, di venire scelto come terzo assistente di regia per Peccato che sia una canaglia di Alessandro Blasetti dove per la prima volta ha modo di vedere Marcello Mastroianni, Sofia Loren e Vittorio De Sica (di quest’ultimo recensirà più tardi Miracolo a Milano). Alcune delle star del momento, Marquez le incontrerà di nuovo a Venezia, dove seguirà, sempre da cronista, la Mostra del Cinema. E’ proprio nei giorni romani che scrive il suo primo romanzo, Foglie morte, il cui titolo originale, La hojarasca, indica un mulinello di folie secche creato dal vento ma che nel linguaggio popolare significa immondizia.



ROMANZO



In queste pagine si intravede per la prima volta l’universo di Macondo che conosceremo con Cent’anni di solitudine. Ed è anche durante il soggiorno nella capitale che scrive un piccolo racconto tra il reale e l’irreale, La Santa, ambientato tra i vicoli di Trastevere, le strade dei Parioli e il verde di Villa Borghese e dove il protagonista, lo scrittore Margarito Duarte, ha intenzione di incontrare Papa Pio XII per far diventare sua figlia morta, una santa. Su Pio XII, Marquez scriverà anche un reportage nel luglio del ’55 riguardo alla partenza del Papa per le vacanze: «Mentre per le vie di Roma - si legge - i robusti operai corrono come matti sulle loro Vespe, senza camicia e con i pantaloni corti, Sua Santità se ne andava in vacanza nella sua auto ermeticamente chiusa, impartendo benedizioni a dritta e a manca, senza curarsi del caldo». Pochi mesi prima, il cronista Marquez, sempre per “El Espectador” si era immerso anima e corpo in uno dei delitti più misteriosi della “nera” italiana: nel ’54 infatti veniva riaperto il fascicolo su Wilma Montesi, la ragazza trovata morta sulla spiaggia di Torvajanica alla vigilia di Pasqua del ’53: Piero Piccioni e Ugo Montagna furono arrestati, rispettivamente con l’accusa di omicidio colposo e di uso di stupefacenti il primo, e di favoreggiamento il secondo. Marquez visitò i luoghi, l’edificio e il quartiere dove la Montesi aveva vissuto, la spiaggia dove era stata ritrovata cadavere e raccontò il “caso” con la penna dello scrittore, rielaborando molti articoli di giornali in forma anche romanzesca. Sette puntate in tutto per i lettori de “El Espectador” comprese le udienze in tribunale. In un articolo, cita il giudice istruttore Raffaele Sepe: «...Fino a quel momento - scrive Marquez - aveva tra le mani una sola pista: l’eventualità che Wilma Montesi fosse stata in contatto con un trafficante di stupefacenti. Fu allora che l’investigatore, forse sobbalzando come i detective nei film, si pose la sorprendente domanda che nessuno aveva formulato fino a quel momento: “Chi era Wilma Montesi?”».
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