La Majella svela la Fortezza volante: i resti di un aereo incastonati nella montagna

La Majella svela la Fortezza volante: i resti di un aereo incastonati nella montagna
di Laura Larcan
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Sabato 19 Agosto 2017, 13:26 - Ultimo aggiornamento: 24 Agosto, 22:02

La sfida di raggiungere la vetta, l'ebbrezza di conquistare la quota di 2400 metri, la soddisfazione di un panorama che inanella le vette scolpite della Majella. E, poi, la sorpresa: un cimitero di resti di un aereo, incastonati in un immenso anfiteatro di pietraie. Quattro motori, due carrelli, piccoli pezzi sparsi in una landa desolata, in una porzione impervia all'interno della riserva naturale integrale. È da questa scoperta che è cominciata per il ricercatore storico e speleologo Lorenzo Grassi l'avventurosa storia di un bombardiere americano della Seconda guerra mondiale, un ciclopico B-17, una delle temibili Fortezze volanti degli Alleati.
 

 

Un autentico mistero per gli alpinisti e gli abitanti dei paesi alle pendici della Montagna Madre. Ci son voluti mesi di ricerche incrociate tra archivi storici, carte dell'epoca, decine di migliaia di microfilm desecretati dagli archivi militari americani, testimonianze e ricordi (compresi i sopralluoghi in accordo con il Reparto carabinieri biodiversità di Pescara e il Nucleo di Caramanico Terme) per decifrare quei rottami arrugginiti. Ne viene fuori un capitolo inedito dell'ultimo conflitto che sarà svelato in una conferenza stampa il prossimo 23 agosto a Sulmona presso l'Archivio di Stato. Perché quei blocchi di metallo sopravvissuti per oltre settanta anni al clima d'alta quota, sarebbero la testimonianza di un epico duello aereo che si svolse sui cieli della Majella il 27 agosto del 1943.

LE IPOTESI «Siamo partiti da due ipotesi - dice Grassi - l'aereo poteva essere stato colpito da una postazione tedesca, oppure aver avuto un inconveniente tecnico, magari incappando nel maltempo e schiantandosi contro i picchi perché volava a una quota di poco inferiore a quella giusta». Ma è difficile pensare a un bombardiere solitario che scompare nel nulla senza lasciare traccia. C'è molto di più. Ne è convinto Grassi, che riconduce quei fossili del B-17 alla figura di Luigi Gorrini, allora giovane pilota della Regia Aeronautica, poi insignito in vita della Medaglia d'Oro al valor militare e morto nel 2014 a 97 anni. Siamo in una fase delicata della guerra in Italia.

Le cronache ci riportano al giorno in cui decollò dalle basi in Nord Africa una formazione di B-17 degli Alleati per il primo bombardamento dell'Abruzzo. Le bombe cadranno sulla città di Sulmona (obiettivi, dalle 11,36 alle 12, la stazione ferroviaria e uno stabilimento di munizioni), provocando oltre 150 morti e mille feriti. Qui, infatti, era stanziata la divisione corazzata tedesca Hermann Göring. Per Grassi il riscontro arriva dai report della United States Air Force sulla perdita di due B-17 e dalla rilettura, con occhi nuovi, del racconto della giornata del 27 agosto narrato dallo stesso Gorrini. Nell'estate del 1943 il sergente maggiore Luigi Gorrini era in forze al 3º Stormo Caccia con base a Cerveteri con l'incarico di garantire la difesa aerea di Roma. Decollò con uno dei primi Macchi 205 Veltro, quando scattò l'allarme per una formazione di bombardieri Alleati in avvicinamento alle coste laziali. Il primo scontro fu sul mare di Roma. Con tecnica acrobatica abbattè un primo B-17 vicino al poligono di Nettuno. In solitudine, inseguì la formazione fra Avezzano e Sulmona.

L'ATTACCO «Prendo di mira l'ultimo aereo a sinistra e attacco», racconterà Gorrini. «Il B-17 della formazione messo nel mirino da Gorrini, è spostato verso Nord e viene attaccato dietro il Monte Morrone - precisa Grassi - Questo spiega perché il duello aereo non sia stato visto dagli abitanti di Sulmona. Il bombardiere colpito s'inclina sulla destra, punta inesorabilmente sulla Majella e senza più governo precipita verso i dirupi dell'alta Valle dell'Orfento». Poi, che succede? Gorrini, inseguito da alcuni P-38 di scorta ai bombardieri, li semina gettandosi in una spericolata picchiata che porta ai limiti il suo velivolo, danneggiandolo gravemente. Alla fine riesce miracolosamente a riprenderne il controllo: «Disorientato, chiese lumi via radio e gli confermarono che si trovava sul porto di Pescara. Ossia - sottolinea Grassi - in perfetta traiettoria con la dinamica degli eventi che vede la caduta del B-17 sulle vette della Majella».

Ricostruire i fatti è stata un'impresa. La documentazione ufficiale americana sull'episodio è lacunosa. Ma Grassi è riuscito a intercettare il resoconto dell'US Air Force relativo alla missione del 27 agosto 1943 in cui si fa riferimento a quel secondo B-17 disperso. «Si tratta di indicazioni contrastanti - avverte Grassi - c'è chi lo ha visto esplodere e chi svoltare all'indietro. Ma quel bombardiere a casa non è mai tornato». Si riportano i nomi di 6 aviatori deceduti e si riferisce di altri 6 rimasti feriti. Prossimo capitolo, è ricostruire le sorti dell'equipaggio. E rendere riconoscimento alla memoria di eventuali vittime.