Virna Lisi è morta, addio alla signora del cinema italiano: aveva 78 anni

Virna Lisi è morta, addio alla signora del cinema italiano: aveva 78 anni
di Micaela Urbano
5 Minuti di Lettura
Giovedì 18 Dicembre 2014, 10:49 - Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 12:39

Si celebreranno oggi alle 10.30 nella chiesa di San Bellarmino, a piazza Ungheria, a Roma i funerali di Virna Lisi, la grande attrice che disse “no” a Hollywood. Da Maselli a Germi a Risi alla vittoria a Cannes Una donna profonda e sincera che si è sempre inventata e reinventata.

Diceva, «se fai l’attore, ma non sei depresso e non vai dallo psicanalista, non conti niente, non sei nessuno».

E nonostante non andasse troppo d’accordo con quest’epoca («dovresti dimenticare politicanti, disonesti, cialtroni e assassini»), era affamata di vita.

Schizofrenicamente, piacevolmente divisa in due, tra la signora borghese e la grande attrice. Tra la moglie fedele e la donna che come amante si era scelta il cinema.

LA LOTTA

Che colpo al cuore. Virna Lisi non c’è più. Ha smesso di lottare contro un male terribile. Un nemico silenzioso, subdolo, strisciante, che si è fatto riconoscere troppo tardi. Cogliendola di sorpresa. Lei ha combattuto e combattuto. Poi pian piano si è abbandonata al grande sonno. Nonostante l’amore per il figlio, Corrado, i nipoti, la sorella, il lavoro, i copioni da scegliere, da imparare, i libri da divorare («la tv la faccio, ma la vedo poco»), i suoi fiori, il mare, la cioccolata («se fosse un peccato, sarei una gran peccatrice»), gli amici, il produttore Alberto Tarallo («insieme condividiamo lavoro, realtà, tavola»). Ma ieri, a 78 anni compiuti da poco, ha deciso che ne aveva abbastanza. Di medicine, della debolezza contro cui lottava, dell’impossibilità di poter apprezzare le care cose di sempre. Della sofferenza che entrata in lei da quando un anno fa aveva perso il marito, Franco Pesci, l’unico uomo di tutta una vita.

Virna la grande attrice. La famiglia. La grande bellezza («troppo bella per essere vera», si legge in un numero di Life che le dedica la copertina, l’unica che abbia mai avuto una diva italiana). La risata. Calda, capace di contagiare anche il più ostinato dei piagnoni. Virna, spietata con i cretini, «e le galline gonfiate di silicone, i maschi che vanno al manicomio se non si specchiano ogni due per tre... Dio, che pena». Virna che si è inventata e reinventata al cinema. Quel cinema che se la porta via quando lei è appena adolescente. I suoi primi passi, li muove nel mélo (da ...e Napoli canta! di Grottini, 1952), poi diventa grande con autori come Maselli (La donna del giorno,’56). Nel ’58 gira l’unico spot che abbia accettato di fare per un dentifricio. Con lo slogan, “con quella bocca può dire ciò che vuole”, che segna un’epoca. «E che ancora qualcuno ricorda», raccontava Virna: «Quando D’Alema lo ha riesumato per Renzi, ho pensato: D’Alema è più vecchio di quel che credessi». Nel ’62 la carriera continua con Losey (Eva), e due anni dopo è sul set del Tulipano nero di Christian-Jacque, al fianco di Alain Delon. I produttori della Paramount vedono il film, impazziscono per quella donna così perfetta, le offrono un’esclusiva di 7 anni e lei, con marito e figlio vola a Hollywood, «e mi lascio trasformare in una bambola, bella e svampita. Le mie battute erano così stupide, ma così stupide che ancora non mi spiego il successo di Come uccidere vostra moglie». A stretto giro, Virna non ne può più di quei ruoli, di limousine, guardie del corpo («non ero padrona nemmeno di andare a fare la spesa»), copioni «insulsi». E quando le offronoBarbarella, che farà la fortuna di Jane Fonda, «punto i piedi e dico no. Un paio d’ali sulla schiena erano davvero troppo». Quel no segna l’inizio «di un putiferio: riunioni, minacce legali, avvocati. Ma alla fine vinco, grazie a mio marito che ha un guizzo e dice che lui e io stiamo tentando di avere un altro figlio. Dichiarazione che getta nel panico i produttori». Nessun rimpianto. Nemmeno «per Jack Lemmon, adorabile per carità, o per Frank Sinatra, esagerato in tutto, o ancora per un gentiluomo come David Niven, per Tony Curtis che in camerino aveva centinaia di lacche per capelli, roba da saltare in aria. In fondo sono state tutte persone di passaggio».

IL TALENTO

Non ha mai avuto nessun produttore potente dietro le spalle Virna Lisi. Deve tutto a se stessa, al suo talento. Virna Lisi che non recita, ma è. Che mette l’anima nei personaggi che interpreta, con una naturalezza rara. Capace di restituire emozioni vere come lei. Con quella faccia bellissima, potente e prepotente, addolorata, radiosa, determinata, dubbiosa. Un’attrice, Virna che mai si è risparmiata, né sul set, né nella vita. Per questo riesce a raccontarla.

Il 1966, l’anno di Germi, del suo bellissimo Signore & Signori, Palma d’Oro a Cannes, «un film difficile, un’atmosfera cupa, che ti prendeva alla bocca dello stomaco». Finalmente la critica le dedica grande attenzione: non solo bellissima, ma bravissima. Poi arrivano La telefonata di Risi, Una vergine per il principe di Festa Campanile, di Arabella (Bolognini), Tenderly (Brusati), Il segreto di Santa Vittoria (Kramer), La cicala(Lattuada). L’incontro con Liliana Cavani e il suo Al di là del bene e del male segna una svolta: Virna Lisi si lascia invecchiare e imbruttire. Felicemente: «Poi ti strucchi, mica resti così. Nella Regina Margot ero davvero un mostro, quando mi guardavo allo specchio sussultavo dalla paura». E per quell’orrendo personaggio, una Caterina Dei Medici davvero spaventosa, Virna viene premiata a Cannes e vince il César. Nell’ultima parte della carriera ha continuato a divertirsi, al cinema con Vanzina, Amelio, Comencini padre e figlia. E in tv, interpretando personaggi studiati per lei da Alberto Tarallo e Teo Losito. «Mica lavoro: con loro vado in vacanza».