Ma questa volta niente manifestanti e forze dell’ordine che sfilavano davanti al Chinesetheatre, e nessun proclama alla Michael Moore che urlava: «Siamo di nuovo in guerra signor Bush, vergognati!».
Questa volta pochi proclami e molti fatti. La comunità artistica ha dato il suo messaggio in mano al vecchio Oscar. E le scelte dei vincitori sono più chiare di qualunque dichiarazione politica. Vince la diversità quest’anno, quella che il presidente tanto avversa. E così ecco Mahershala Ali, il primo musulmano a vincere un Oscar (miglior attore non protagonista) che insieme a Viola Davis (miglior attrice non protagonista) va ad arricchire la lista degli artisti di colore premiati. Tanto per rispondere alle polemiche dell’anno scorso e forse anche per una rinata nostalgia di Barack Obama.
Il miglior film straniero va a Il Cliente di AsgharFarhadi che ha deciso di non venire a ritirare il premio, solidale con chi è stato colpito dal MuslinBan, e manda a ritirare l’Oscar per lui una sua concittadina iraniana che ha letto il suo messaggio contro ogni tipo di discriminazione e divisione.
E poi abbiamo visto l’attore messicano Gael Garcia Bernal che ha urlato il suo «no!». Un «no a qualunque muro separatista di vite e culture».
Ed infine il vincitore come miglior film, Moonlight, un film completamente indipendente, senza star affermate e con attori tutti di colore che tratta un tema delicato come l’omosessualità.
Sembra che anche Hollywood sappia fare quadrato quando è necessario, facendo scelte non scontate e fuori dagli schemi. E anche l’errore, che rimarrà nella storia degli Oscar, dell’annuncio sbagliato del vincitore sembra perfettamente in linea con questa edizione. Quasi a dire: «Normalmente il premio lo avremmo dato a La La Land, ma quest’anno è più giusto premiare questo piccolo e coraggioso film, per dare un po’ di speranza a tutti».
E chissà quanti in quella sala avrebbero voluto che l’annuncio sbagliato fosse stato quello delle scorse presidenziali invece di quello dell’Oscar.
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