Orge, banchetti e saluti fascisti: così Hollywood ha reinventato la Roma antica

Orge, banchetti e saluti fascisti: così Hollywood ha reinventato la Roma antica
di Andrea Giardina
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Giovedì 4 Settembre 2014, 13:37 - Ultimo aggiornamento: 13:52
Tutto quello che sappiamo su Roma l’abbiamo imparato a Hollywood: il titolo di un libro pubblicato una decina d’anni fa esprime perfettamente l’essenza del problema. Non c’è dubbio che l’immagine della Roma antica diffusa a livello planetario corrisponda ancora oggi largamente a quella trasmessa dai film americani del secondo dopoguerra. Questi, a loro volta, attingevano i propri stereotipi non solo ad autori come Svetonio e Tacito, alle tragedie di Shakespeare, ai grandi romanzi popolari dell’Ottocento, alla pittura “pompier”, ma anche all’invenzione fascista della romanità. Nella cinematografia degli ultimi decenni non sono mancate le eccezioni, in primo luogo il magnifico “Satyricon” di Fellini, ma nessuno potrebbe mai sostenere che esso, e qualche altro film geniale e inconsueto, siano riusciti nell’impresa di scalfire la potenza dell’immagine hollywoodiana.



Il genere è ricchissimo e variegato ma è difficile trovare, nell’intera storia del cinema, un argomento che come l’antica Roma abbia fissato canoni, forme, segni destinati a ripetersi infinite volte, modificati appena da sfumature e da varianti secondarie. La fantasia ha avuto un ruolo minore, come sarebbe facile dimostrare se si elencassero gli elementi che è prevedibile trovare in un film di ambientazione romana. Basta ricordarne alcuni: l’imperatore folle e sessualmente onnivoro, il potere delirante e crudele, il sadismo collettivo esemplificato dai combattimenti dei gladiatori e dal voyeurismo della plebe, gli schiavi afflitti e puniti atrocemente per lievi colpe, i banchetti con il loro immancabile corredo orgiastico, il cosiddetto saluto romano ripetuto a ogni minima occasione, la minoranza cristiana mite e tenace, disposta al martirio nel nome della fede e della libertà.



Per un motivo che non è facile spiegare il regime fascista dedicò all’antica Roma un unico film propagandistico, “Scipione l’Africano” di Carmine Gallone (1937), che mirava a celebrare romanamente il nuovo impero fondato dopo la conquista dell’Etiopia. Fu un grave insuccesso commerciale, ricevette un’accoglienza fredda da parte della critica, e a quanto pare non piacque nemmeno al duce, ma questo non gli impedì di vincere la Coppa Mussolini come miglior film italiano alla quinta Mostra cinematografica di Venezia. Il fallimento non fu dovuto, come qualcuno ritiene, alla scarsa adesione degli italiani al mito della romanità, ma ai suoi numerosi difetti: una sceneggiatura debole con punte di involontaria comicità, i dialoghi magniloquenti, le musiche prive d’ispirazione e soverchianti di Ildebrando Pizzetti. Ma il fallimento si accompagnò a un’influenza enorme nella storia del cinema: il fascismo inventò una sua Roma, il film italiano la ripropose, il cinema americano la adottò e la rielaborò secondo i propri fini ideologici e politici.

Il passaggio si coglie perfettamente nel confronto tra due Neroni. Il primo è quello interpretato da Charles Laughton che compare all’inizio del “Segno della Croce” di Cecil DeMille. Il film è del 1932, quando il culto fascista della romanità non aveva ancora raggiunto una diffusione internazionale: Nerone, assiso su un trono di tipo babilonese, è abbigliato come un despota orientale, con vesti e gioielli esotici. Il secondo è quello interpretato da Peter Ustinov nel “Quo vadis?” di Mervin LeRoy, del 1951. La metamorfosi si è compiuta e questo nuovo Nerone è diventato un tiranno nazi-fascista, che indossa una macabra toga nera trapunta di aquile e arringa le folle come Hitler a Norimberga o Mussolini a Piazza Venezia.



Nei film americani del secondo dopoguerra proliferano ovviamente i saluti “romani”. Come ormai è accertato, i romani non avevano l’abitudine di salutare in questo modo, come automi marziali, ma c’è da temere che passerà ancora molto tempo prima che il termine “saluto romano” cada in un doveroso oblio. Recentemente lo storico americano Martin Winkler ha dimostrato come il saluto romano, adottato dal fascismo, non derivasse da raffigurazioni o descrizioni antiche, ma da un celebre quadro del pittore Jacques-Louis David, “Il giuramento degli Orazi”, oggi al Louvre (The Roman Salute, 2009). Tutto è dunque nato dall’immaginazione di un artista, e la politica ha fatto il resto.



I romani sono raffigurati di norma come persecutori. Il pubblico americano, appartenente a una nazione giovane, che rivendicava il primato del progresso e della libertà, era invece chiamato a identificarsi con gli antichi nemici dei tiranni, i cristiani. Ma non basta: se si ascolta “Quo Vadis?” in originale si nota che Nerone si esprime in un perfetto inglese, mentre i ribelli che lo sfidano parlano americano. Il messaggio è chiaro: la vera libertà abita soltanto negli Stati Uniti. Anche nei kolossal apparentemente più ingenui la storia romana è storia contemporanea.
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