Festa cinema Roma, quei reporter d'assalto linciati dal web. Applausi per Truth

Festa cinema Roma, quei reporter d'assalto linciati dal web. Applausi per Truth
di Fabio Ferzetti
3 Minuti di Lettura
Sabato 17 Ottobre 2015, 03:48 - Ultimo aggiornamento: 18 Ottobre, 18:59
Due pezzi da novanta dell'informazione americana sfidano la Casa Bianca. E perdono tutto: la faccia, il lavoro, la fiducia in un sistema che anziché proteggerli se ne libera per salvarsi. È la storia, autentica, di Mary Mapes e Dan Rather, lei brillante producer della Cbs, vent'anni di premiata carriera alle spalle e una serie di scoop fra cui quello delle torture nel carcere di Abu Ghraib. Lui una leggenda vivente della tv, il primo a dare la notizia dell'assassinio di Kennedy, per decenni in prima linea tra uragani e politica, l'anchorman più amato d'America dagli anni 60 in poi. Eppure nel 2004, in piena campagna presidenziale, con Bush e Kerry testa a testa nei sondaggi, queste due colonne della libera informazione chiusero la loro gloriosa carriera con un colossale infortunio che l'irresistibile Truth di James Vanderbilt rievoca con tutte le astuzie tipiche del genere, a partire dal cast stellare (lei è Cate Blanchett, lui Robert Redford: fantastici, ma è poco dire che gli originali ci guadagnano). Più quel sapore amaro che accompagna i film capaci di cogliere dietro i fatti la fine di un'epoca.



Malgrado il titolo infatti Truth non svela nessuna verità, tranne forse una. Non sappiamo e probabilmente non sapremo mai se nel 1974 il giovane George W. Bush, allora pilota nella Guardia Nazionale Aeronautica del Texas, si fece davvero raccomandare per non finire in Vietnam. Né se i testimoni e i documenti su cui si basava l'inchiesta di Mapes e Rather, culminata in un'incandescente puntata del loro programma 60 Minutes, erano attendibili o meno. Ma non è questo il punto.



STILE DI LAVORO

Il punto è il linciaggio che al primo passo falso si scatenò contro i due giornalisti e il loro team. Linciaggio che finisce per travolgere, insieme alla loro inchiesta, tutto uno stile di lavoro ormai incompatibile da un lato con gli interessi delle grandi corporation (la Cbs li sacrifica anche per non inimicarsi un potere politico che potrebbe diventare meno generoso con le grandi concentrazioni editoriali). E dall'altro con il tambureggiare del web, troppo veloce e avido di idoli da abbattere per non saltare sui punti deboli dell'inchiesta.



È il senso di alcune delle scene più forti del film. E non pensiamo solo al momento in cui la Mapes ha la sventatezza di guardare la minacciosa cloaca di insulti che le riserva il “popolo” del web. Ma a quell'epilogo in cui, spalleggiata dal suo avvocato, affronta la “commissione indipendente” di inchiesta sul suo operato richiesta dalla Cbs. Uno squadrone di mastini così indipendenti che uno dei suoi due presidenti è stato ministro della Giustizia proprio con Bush. Anche se è lei stessa a servire loro la propria testa su un piatto con un meditato sussulto d'orgoglio che le costerà la carriera.



Sono le corporation, bellezza, viene da dire ribaltando la celebre battuta del vecchio film con Humphrey Bogart. Ma Truth, che potrebbe anche intitolarsi Trust, fiducia, non è un inno nostalgico al mito del grande giornalismo investigativo di una volta. Benché apertamente di parte, l'oliatissima sceneggiatura di Vanderbilt, ispirata al libro di memorie della Mapes, ha spazio anche per le debolezze della protagonista. Che con il più anziano Rather aveva un rapporto di intimità e fiducia quasi filiale, a compensare le percosse che le riservava il vero padre quando faceva troppe domande...



Anche se a proposito di padri degeneri nessuno batterà mai quello dei sei fratelli protagonisti del documentario The Wolfpack (Alice). Impaurito da New York, il signor Angulo, moglie americana ma origini peruviane, li ha infatti cresciuti chiusi in casa, integrando la lezioni private fornite dalla madre con una massiccia dose di film che hanno reso i ragazzi totalmente dipendenti dal cinema e dalle sue mitologie. Ma anche incredibilmente capaci di cavarsela quando hanno iniziato a ribellarsi e a uscire di nascosto. Altro che Maria Montessori insomma, è Tarantino il grande pedagogo dei nostri tempi. Vedere per credere.