Carlo Verdone: vi racconto la mia estate da ridere

Carlo Verdone: vi racconto la mia estate da ridere
di Gloria Satta
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Giovedì 21 Agosto 2014, 15:25 - Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 16:20
In questo periodo Carlo Verdone si divide tra la casa di campagna, in Sabina, il lavoro con lo sceneggiatore Pasquale Plastino (stanno scrivendo un nuovo film, quando sono lontani si confrontano per ore su Skype) e l'attesa della partenza per Venezia. Dal 27 agosto al 6 settembre l'attore e regista sarà alla 71ma Mostra del Cinema nel doppio ruolo di membro della giuria e di premiato con il ”Bresson”, il prestigiso riconoscimento assegnato dall'Ente dello Spettacolo.



Dire che è in forma sarebbe riduttivo: Carlo appare caricatissimo e, in un caldo pomeriggio di agosto, mentre la città è ancora svuotata, parla volentieri del lavoro, dei figli, del futuro, dell'Italia, della nota passione per medici e farmaci. Un fiume in piena. Ascoltiamolo.

Con che stato d'animo si prepara alla maratona di Venezia?

«Con grande slancio, curiosità e la speranza che i film italiani riescano a stupirmi. Sulla carta le premesse ci sono. Mi auguro di avere argomenti forti per sostenerli».

Quindi farà il tifo per i concorrenti nazionali?

«Il tifo si fa per una squadra di calcio, non al cinema. Cercherò di giudicare con la massima obbiettività, senza favoritismi patriottici. Grazie alla presenza del cineasta tedesco Philip Groning e della regista austriaca Jessica Hausner, la giuria ha un indirizzo intellettuale. Dal presidente Alexandre Desplat, che ha musicato film commerciali oltre alle opere d'autore, mi aspetto l'elasticità».

È già stato in giuria nel '94, che ricordo ha?

«Con Margherita Buy, che mi affiancava, cercai disperatamente di sostenere Lamerica ma il giurato Vargas Llosa, con la sua oratoria micidiale, smontò il film di Amelio. Il presidente David Lynch volle a tutti i costi dare un premio ad Assassini nati che noi giudicavamo troppo violento, diseducativo per i giovani. Stone è un mio amico, non posso deluderlo, disse. E per imporsi alzò la voce».

Le sue commedie non vanno ai festival, ma ora le viene dato il premio Bresson vinto finora da grandi autori...

«Sono il primo a essere stupito e anche un po' intimidito. Dedico il riconoscimento a mio padre Mario, il migliore dei Verdone. Evidentemente è stato premiato lo sguardo umano che ho sempre posato sui miei personaggi, anche i più atroci. È come se li avessi abbracciati. In 37 anni di carriera, non ho messo cinismo né cattiveria nei film».

E di cosa parlerà il prossimo?

«Affronterà un altro tema sociale di attualità e una categoria umana mai rappresentata al cinema. Sarà una novità assoluta. Avrà un impianto corale e questa volta io toglierò la cravatta: non sarò un personaggio borghese».

Si sente cambiato rispetto ai suoi inizi?

«Trent'anni fa, ai tempi di Un sacco bello, portavo sullo schermo il gergo di periferia. Poi, con lo stesso entusiasmo e una buona dose di stupore, ho descritto i cambiamenti della società: i padri separati, le incomprensioni familiari, la coppia... Se a 63 anni sono ancora qui lo devo al pubblico, che non ringrazierò mai abbastanza. E ai miei genitori che mi hanno insegnato a guardare il mondo con curiosità e senza pregiudizi».

Al di fuori del lavoro, dove si orienta oggi la sua vita?

«Verso i miei figli, ai quali sono attaccatissimo. Giulia, 28 anni, lavora nel marketing di una multinazionale e Paolo, 27, ha studiato politica internazionale. Sono davvero bravi, si sono formati all'estero, hanno sgobbato sui libri e sfidato pregiudizi e pettegolezzi: il cognome che portano è pesato come un macigno, altro che privilegi».

Ha fatto un po' di vacanza?

«Si, sono stato in campagna. Con mio fratello Luca e mio figlio ho riordinato la sterminata libreria di papà: 18mila volumi! Ne faremo una Fondazione per lo studio delle avanguardie storiche, la materia che lui insegnava all'università. La casa in Sabina è l'unico posto in cui riesco a riposarmi, anche a costo di annoiarmi...intendo abitarci sempre più spesso».

E la salute come va?

«Ho la pressione e la glicemia un po' basse, le controllo. Ma per favore smettiamola di dire che sono ipocondriaco».

Ma come, non lo è?

«No, non ho malattie immaginarie! Sono da sempre un appassionato di medicina e farmacologia e per questa ragione ho ricevuto una laurea onorifica (doloris causa, dico io) dall'università Federico II di Napoli».

E tutti gli amici che le telefonano dopo cena per avere diagnosi e prescrizioni di farmaci?

«Ma io non faccio diagnosi, ci mancherebbe! Mi limito a formulare delle ipotesi e rimando sempre al parere degli specialisti. Ho la massima considerazione dei grandi medici, mi piace imparare da loro».

Ci va ancora in farmacia a documentarsi?

«Sì, quando posso. È il mio osservatorio privilegiato. Mi apparto in un angolo dal quale non posso vedere le persone in faccia (mica voglio rubare la privacy, io) e ascolto per ore. La gente comincia con gli acciacchi, chiede le medicine e poi racconta alle disponibilissime dottoresse qualunque cosa: il figlio disoccupato, le buche nel quartiere, la lite di condominio... tutti hanno gli stessi problemi e in giro ci sono tanta solitudine, tic, nevrosi».

Come le sembra l'Italia di oggi?

«Piegata dalla crisi globale della società del benessere. Negli anni Ottanta e Novanta abbiamo pensato di poterci permettere qualunque spreco e siamo andati a tavoletta. Oggi paghiamo le conseguenze di quella politica scellerata e un'intera generazione è stata bruciata. Poveri giovani».

È ottimista sul futuro, pensa che ce la faremo?

«Devo necessariamente tifare per Renzi, se remassi contro il governo sarei uno sconsiderato. Ma dopo tante promesse, aspetto i fatti concreti, i risultati.

La scadenza è ottobre-novembre, solo allora potremo dare un giudizio sul premier».

È ancora in contatto con Sorrentino?

«Certo, ci siamo fatti gli auguri per Ferragosto. Dopo La grande bellezza, c'è ancora tanto affetto tra noi».

La sua presenza a Venezia aiuterà a sdoganare la commedia?

«Me lo auguro. Darmi il premio Bresson dopo Wenders, Zanussi, Dardenne, Loach è un atto di coraggio da parte dell'Ente dello Spettacolo. Senza voler apparire presuntuoso, ci vedo l'ombra lunga di Papa Francesco che ci ha insegnato a ragionare in maniera nuova...».

Sottinteso: far sorridere non è peccato. E Verdone, per nostra fortuna, non ha nessuna intenzione di smettere.
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