Regionali, l'ira di Renzi: paghiamo le liti ma il governo non è a rischio

Regionali, l'ira di Renzi: paghiamo le liti ma il governo non è a rischio
di Alberto Gentili
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Lunedì 1 Giugno 2015, 05:42 - Ultimo aggiornamento: 11:34
Matteo Renzi aveva detto di essere «preoccupato». Che anche un «quattro a tre» sarebbe stata «una vittoria per il Pd». E che soprattutto aveva affermato che il voto di ieri «non è un test su di me o sul governo». E ha fatto bene, il premier-segretario, a mostrarsi prudente. La notte nella sede del Nazareno è una notte amara. L'onda delle elezioni europee, quando appena un anno fa il Pd fece segnare il 40.8%, si è trasformata in risacca. Così, dopo che le tv hanno sfornato le prime proiezioni, Renzi non festeggia. Anzi.

Il centrosinistra è avanti in cinque Regioni su sette. Ha vinto in Campania, «nonostante la pugnalata della Bindi», un risultato che alla vigilia Renzi avrebbe firmato senza pensarci su. Ma il Pd balbetta in tutte le Regioni andate al voto e la Lega e i Cinquestelle avanzano. Soprattutto «pesa, brucia, fa arrabbiare» la sconfitta in Liguria. E ha fatto molto male vedere a lungo il forzista Claudio Ricci avanti nell'ex Umbria rossa. «Però abbiamo dati che ci dicono che alla fine in Umbria il Pd la spunterà, Catiuscia Marini per noi è stabilmente in testa», garantisce poco prima delle due di notte il vicesegretario Lorenzo Guerini.



IL GRANDE SMACCO

Per il premier-segretario, il tonfo di Raffaella Paita, battuta secondo le proiezioni da Giovanni Toti, «è la prova che esiste una sinistra tafazzista». Che c'è davvero «il bertinottismo 2.0, capace di far perdere il partito e di far vincere la destra». «In Liguria ha pesato la divisione a sinistra, la sfida di Pastorino ha avuto come unico risultato quello di favorire la destra», certifica amaro il presidente Matteo Orfini che Renzi, nell'attesa dei risultati, sfida a play-station. E ne diffonde la foto per manifestare «sereno distacco».



Eppure, lo smacco per il premier-segretario è «grande». Per questo, rinchiuso nella sede del Nazareno con Orfini, Guerini, Maria Elena Boschi, Ettore Rosato, ripete fino alla noia, «aspettiamo i dati definitivi, non fermiamoci ai primi numeri». Anche perché, se come sembra la sconfitta della Paita dovesse essere confermata, i ribelli guidati da Bersani, D'Alema e Bindi, prenderebbero coraggio. In Senato, dove la maggioranza è risicata, sarebbero guai.

«Stanno usando la Liguria per regolare i conti», aveva detto giovedì il premier-segretario. E i conti, adesso, sembrano essere stati regolati a vantaggio dei ribelli e si fa concreta la possibilità della nascita di un partito di sinistra-sinistra. «Ma adesso si fa chiarezza, basta con il fair-play. Chi ha remato contro dovrà pagarne il prezzo...», tuona il premier-segretario. Insomma, basta con la gestione simil-unitaria. «D'ora in poi comanderà Matteo e non guarderà più in faccia a nessuno...», prevedono al Nazareno.



«AVANTI CON DE LUCA»

Smacco in Liguria a parte, Renzi si consola con il dato della Campania: «Abbiamo vinto contro tutto e tutti, contro un pezzo di partito che ha remato contro e ha lavorato per farci perdere anche lì». Chiara l'allusione alla lista degli “impresentabili”, con in testa il nome di De Luca, sfornata alla vigilia del voto da Rosy Bindi, e sostenuta da Bersani & C.

Certo, la vittoria di De Luca rischia di essere effimera, visto che la legge Severino probabilmente ne decreterà la decadenza. Ma non è questa la notte, secondo Renzi, per discutere di cavilli e commi. «Della sospensione di De Luca ne parliamo al momento opportuno...», è la parola d'ordine. E per Renzi il successo in Campania ha un sapore speciale: «La Bindi ha fatto di tutto per farci perdere, ha usato l'Antimafia per regolare i conti, ma ha perso la faccia», dice uno del Nazareno.

Per Renzi il 5-2 è un risultato discreto. Perché per voltare pagina, perché sia davvero la volta buona, come scrive in ogni tweet, al premier serve il consenso. Un carburante indispensabile per chi ama decidere tanto e mediare poco. Soprattutto il 5-2 arriva dopo un'infornata di riforme, dal Jobs act, alla scuola, che hanno lacerato il partito e diviso il Paese. «Ma questo voto», ripete Renzi ai suoi, «con il governo non c'entra. Si tratta di elezioni regionali, l'avevo detto per tempo...».