Quando è successo? Forse è un incubo? O sarà colpa del troppo caldo afoso e della troppa aria condizionata? Mi sfrego gli occhi, ma i tatuaggi non scompaiono: li vedo sui corpi di suore e maestre, di notai e giornalisti, di salumieri e manager, e non vanno via. Mi sa che devo accettare la cosa: e dichiararmi una riserva indiana, un essere in via di estinzione. Ci saranno posti dove mi accetteranno? Potrò ancora bere il mio caffè rigorosamente caldo anche nell’afa? O il futuro mi prepara locali in cui campeggerà il cartello con su scritto: “Non si accettano animali, gente che pensa e non tatuati”? Gesu, mi verrebbe da dire con la voce di Woody Allen doppiata da Lionello: Geeesù!
C’è qualcosa di inquietante e di stonato, in questi corpi e in queste facce quotidiane su cui pesano come maschere primitive i tatuaggi: qualcosa che è difficile da capire. I disegni dei tatuati diventano sempre più grandi, e da segnali seduttivi e provocazioni che erano poco fa, diventano coperte di un Linus aborigeno che però non va in giro nudo: ma con tacchi a spillo, short griffati e orologi a imitazione degli orologi a produzione limitata. Sono coperte o corazze, quei disegni? Spesso si estendono fino al limite del collo, e in certi casi fioriscono anche oltre quel limite, simili alla muffa che in un filmaccio di fantascienza di serie B ha lo scopo di impadronirsi del genere umano sottomettendolo all’extraterrestre malvagio. Chissà! E mentre mi trattengo nel bar, stremato dalle ipotesi e dalla scoperta di essere una minoranza della minoranza della minoranza, penso per un momento di convertirmi.
Cerco di dirmi che i tatuaggi sono pitture portatili, e che i colori sono belli: ma se poi penso al dover carezzare una pelle coperta da una muffa verdastra o giallina, e non teneramente e semplicemente pelle, mi coglie una strana sensazione: brrr! Cerco di dirmi che i tattoo esprimono il bisogno di qualcosa di selvaggio in mezzo alla piattezza della vita irreale che facciamo, ma niente da fare: i quadri li preferisco attaccati alle pareti. Eh no, non ci riesco: la conversione al tattoo è rimandata. Resterò nella riserva indiana dei non tatuati forse tra pochissimo guardato con sospetto come se fossi un nemico, e sempre innamorato della pelle senza pittura in cui posso vedere quel che i sogni mi dettano e non lo spettacolo sempre uguale di un tatuaggio.
Ma mentre sto per andarmene, ecco che entra un sogno materializzato: alta, slanciata, magnetica, i capelli nerissimi e lo sguardo profondo, e si siede al tavolino a fianco. Ha un tatuaggio sull’avambraccio, è vero, ma chi se ne frega! E poi, in fondo, è piccolo, anche in lettere greche, e mi incuriosisce. Mah: devo ripensarci, a questa cosa dei tatuaggi? In fondo un tatuaggio piccolo non darebbe fastidio, anzi sarebbe un elemento sorprendente, e poi non posso vivere sempre come una minoranza! E se mi facessi disegnare da qualche parte una cosetta originale? Eh, ma poi perché da qualche parte? I tatuaggi belli si mostrano! Che faccio? Gesù, questo caldo è davvero un diavolo tentatore. E se mi tatuassi un grazioso, minuscolo carpe diem? Non sarebbe male…
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