I tesori della storia italiana
in un archivio da salvare

Carovana libica, di Salvatore Valeri (1906)
di Eric Salerno
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Martedì 26 Febbraio 2013, 15:55 - Ultimo aggiornamento: 2 Marzo, 13:28
ROMA - La caccia durata mesi. La spedizione alla ricerca del faldone mancante, anzi, dei faldoni era stata studiata a tavolino. Da via Merulana all'architettura fredda dell'Eur, alle pendici semi-tropicali del giardino zoologico. Freddo, caldo-umido, scantinati bui, scatoloni marci, animaletti fastidiosi, polvere da asma invece della solita malaria. Ogni passo documentato a colori su iPhone: le gloriose Leica non si vedono più. I faldoni, ritrovati di recente, erano sette e appartenevano al fondo di Giuseppe Tucci ma all'appello manca ancora molto. L'esploratore del Duce, come lo chiamavano, è famoso per le sue spedizioni in Tibet, India, Afghanistan e Iran. Riportava impressioni e oggetti di popoli che nella prima metà del secolo scorso erano distanti dal nostro mondo. Le sue raccolte riempirono le sale e gli scantinati di Palazzo Brancaccio a Roma e sono state per decenni, spesso tormentati, il patrimonio più importante dell'Ismeo (Istituto per il Medio ed Estremo Oriente). I mondi di Tucci sono cambiati. E anche il nostro.

Per mancanza di risorse economiche, nel 1995 l'Ismeo fu sposato all'Istituto Italo-africano erede di quello coloniale. Divennero l'Isiao, un'altra sigla con pochi soldi, pochi utenti e molte spese tra le numerose che ancora esistono nel nostro paese. I patrimoni furono mescolati e ridistribuiti come un mazzo di tarocchi. La biblioteca di via Aldrovandi, centottantamila volumi, la seconda in Europa per studi africani, è un piccolo gioiello accessibile, in questa fase di transizione, a pochi. Il patrimonio del vecchio museo africano, con i diari degli esploratori italiani, è finito negli scantinati del Pigorini all'Eur. A palazzo Brancaccio funziona il museo di Arte orientale. Tutte le attività sono ridotte. E l'anno scorso è arrivato il Liquidatore. Un nuovo presidente, l'ambasciatore Antonio Armellini, esperienza in molti dei Paesi coperti dai due Istituti e la voglia di rilanciare invece di seppellire il grande patrimonio.

«Partiamo dal passato ma guardiamo al futuro», esorta spiegando come al posto dell'Ente pubblico deve nascere un qualcosa che sia sostenuto dal capitale privato. E che abbia come obiettivo, accanto allo studio, quello di essere un centro per «la promozione del sistema Italia». Nel 1937, Mussolini spedì l'orientalista Tucci in Giappone dove fu uno dei maggiori protagonisti dell'Asse nazifascista con Tokyo. Cultura e scienza a disposizione della diplomazia. Non era la prima volta e non sarebbe stata l'ultima.



UN CENTRO STUDI



Il Centro di studi italiano per l'Africa e l'Oriente (Csiao) che l'ambasciatore Armellini propone di creare - sostenuto dalle parole d'incoraggiamento del presidente della repubblica Napolitano - dovrà guardare a un mondo meno eurocentrico e in cui l'asse Asia-Africa diventa sempre più importante. Il progetto è sulla carta e aspetta finanziatori e padrini. «Vedo qualcosa come Chatham House, il centro di ricerche di Londra» dove opera la diplomazia meno ufficiale. Si insegneranno le lingue, si dovrà valorizzare l'aspetto museale. La biblioteca, con libri e giornali dell'epoca sarà l'ossatura dell'Istituto. Soprattutto, «Il Csiao metterà a disposizione delle imprese e del sistema finanziario uno strumento di analisi e ricerca tagliata su specifiche esigenze». Senza, però, trascurare il passato.



IL PATRIMONIO



Nel progetto, storici e studiosi del presente dovranno collaborare. E si dovranno definire gli spazi fisici, dove rendere più accessibile al pubblico il patrimonio formato da chi, nei secoli, ha esplorato e raccontato l'Africa - non soltanto le nostre ex colonie, negli ultimi decenni in gran parte trascurate - e l'Asia. Forse allora, finanziamenti permettendo, potrebbe partire una nuova spedizione nei palazzi romani. Negli scantinati della Consulta, racconta Armellini, ci dovrebbero essere ancora molti documenti e altri oggetti del vecchio Ministero delle Colonie di cui parte dell'archivio sono al ministero degli Esteri e parte all'Archivio di Stato.

«Temo, purtroppo, che con tutti gli spostamenti e le incertezze di questi aùnni, molto del patrimonio possa essere sparito. Non è mai stato completato l'inventario del favoloso archivio fotografico dell'Istituto per l'Africa. Uscire con un faldone sotto il braccio è difficile. Un'immagine-documento della nostra storia può facilmente sparire in una tasca».
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