Erasmus, chi ha studiato all'estero fa più carriera: il risultato in una ricerca

Erasmus, chi ha studiato all'estero fa più carriera: il risultato in una ricerca
di Antonio Bonanata
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Sabato 14 Febbraio 2015, 17:16 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 18:43
Ventisette anni all'insegna del multiculturalismo e dell'integrazione: è il Progetto Erasmus, che consente agli studenti di tutta Europa di trascorrere un periodo di studio e di vita all'estero, frequentando un ateneo dove si sostengono esami e si seguono lezioni che poi vengono riconosciute dall'università di provenienza.

Questo utilissimo programma educativo, che dura dai 3 mesi a un anno, si segnala ora per un importante risultato, prima solo intuibile e oggi finalmente sancito da uno studio, commissionato dall'Unione europea. Coloro che hanno fatto l'Erasmus hanno maggiori possibilità di trovare lavoro e, soprattutto, di fare carriera.



Lo dicono a chiare lettere le cifre emerse da questa ricerca: il 31 per cento degli studenti Erasmus ha la possibilità di diventare manager in posizione bassa, rispetto al 25 per cento di chi non lo ha fatto. La percentuale si assottiglia per i ruoli di manager in posizione intermedia (23 per cento Erasmus, 22 non-Erasmus), fin quasi a scomparire per quanto riguarda la posizione lavorativa apicale, l'amministratore delegato: 7 per cento contro 6. Nelle posizioni non manageriali, paradossalmente, il rapporto si inverte: può trovare lavoro prima di altri il 47 per cento di chi non é partito per alcuni mesi per andare a studiare in un ateneo europeo, rispetto al 39 per cento di chi invece l'Erasmus l'ha fatto.



Questi dati sono confermati da esperti e psicologi che selezionano il personale nelle medie e grandi aziende: oggi, molto di più rispetto a una decina di anni fa, si guarda alle esperienze internazionali che ciascuno ha inserito nel curriculum. Il 64 per cento di questi reclutatori, infatti, tiene in grande considerazione la portata estera della propria formazione, un dato raddoppiato rispetto al 2006. La conferma arriva da Paolo Citterio, presidente del Gruppo intersettoriale direttori del personale: «Oggi nelle aziende questa esperienza è considerata un valore aggiunto importante, quasi come la puntualità con cui si sono terminati gli studi e più del voto di laurea».



La marcia in più, inutile dirlo, è la migliore conoscenza linguistica: dato per scontato l'inglese, è importante saper parlare la lingua madre dei grandi gruppi europei, francesi e tedeschi, che oggi offrono maggiori possibilità di lavoro. Inoltre, il 92 per cento di chi tiene colloqui d'assunzione, quindi praticamente quasi tutti, guarda con attenzione a sei tratti personali qualificanti: la tolleranza, la fiducia, la serenità, la determinazione e l'intraprendenza, tutti caratteri che nella generazione Erasmus superano il 70 per cento. Dopo 5 anni dalla laurea, la quota di inoccupati tra chi ha svolto questo progetto formativo è più bassa del 23 per cento rispetto alla totalità dei laureati, mentre dopo 10 anni più del 44 per cento di chi ha studiato all'estero ha la possibilità di esser diventato manager. Attenzione, però, a non attribuire tutto all'Erasmus: per fare carriera, segnala Citterio, conta molto la motivazione iniziale e l'intraprendenza caratteriale, indispensabili per scalare qualsiasi montagna, a prescindere dalle singole esperienze svolte.



Gli effetti della generazione Erasmus sono tanti e non si limitano all'ambito lavorativo: è di pochi mesi fa, infatti, la notizia che ha quantificato in un milione di nascite il frutto degli amori nati durante l'Erasmus, tra coppie di studenti di diverse nazionalità che si sono incontrati durante un periodo di studio all'estero. Nel giorno di San Valentino anche questo è un dato da non sottovalutare.