Arte, design e hi-tech:
la sfida della Corea del Sud

Arte, design e hi-tech: la sfida della Corea del Sud
di Alessandro Campi
5 Minuti di Lettura
Sabato 12 Aprile 2014, 18:39 - Ultimo aggiornamento: 18:40
SEUL - L’area urbana di Seul supera i dieci milioni di abitanti, che diventano venticinque se si ragiona in termini metropolitani e si includono nel conteggio il porto di Incheon e la zona residenziale di Seongnam. Ma la prima cosa che colpisce, arrivando nella capitale sudcoreana, è il modo relativamente silenzioso con cui il traffico, comunque caotico, corre lungo le ampie strade che l’attraversano da un parte all’altra del fiume Han. Le auto che circolano sono tutte ibride: il motore in modalità elettrica, usato in città, è meno rumoroso e meno inquinante.

Alla fine degli anni Novanta la Corea era economicamente a pezzi. Fu salvata dalla bancarotta grazie ai generosi finanziamenti concessi dagli Stati Uniti e dal Fmi, qualcosa come 60 miliardi di dollari. Ma seppe reagire investendo massicciamente in ricerca, istruzione e tecnologia. Oggi è un colosso economico: l’ottava o decima economia mondiale, secondo le classifiche. Ha risentito a sua volta della crisi finanziaria mondiale del 2008, ma i suoi livelli occupazionali e di crescita industriale restano ancora alti.



I senza lavoro sono appena il 3,5% della popolazione, il Pil avanza al ritmo annuo del 3,9% (il dato previsto per il 2014). Il mese scorso il ministero della scienza coreano ha annunciato un investimento di 1,7 miliardi di dollari per lo sviluppo della rete wireless “5G” (800 megabyte da scaricare in un solo secondo, invece dei quaranta oggi necessari), tecnologia che nelle previsioni dovrebbe generare, tra il 2020 e il 2026, vendite in infrastrutture e nuovi prodotti per circa 350 miliardi di dollari. Quando si dice programmare la crescita e guardare lontano.



In un sistema economico che viaggia con questi ritmi la parte del leone continuano a farla i cosiddetti “chaebol” (Samsung, Hyundai, e LG sono i più conosciuti a livello internazionale), conglomerati produttivi a conduzione famigliare che spaziano dall’elettronica alle automobili, dalla cantieristica alla grande distribuzione commerciale. Da qualche tempo, li si accusa di aver delocalizzato nel mondo le loro produzioni e di macinare profitti crescenti fuori dai confini coreani. Qualcuno nel corso degli anni ha pensato di ridurne il potere, suggerendo la piccola e media impresa europea come alternativa al loro gigantismo, che pesa sulla politica e spesso ha originato scandali e sospetti di corruzione. Ma il modello di sviluppo coreano sembra non poterne fare a meno. Qui ancora “grande è bello”.



L’accumulo di enormi ricchezze, private e pubbliche, affina il senso estetico, fa nascere il mecenatismo e stimola i grandi progetti architettonici. Il Leeum, inaugurato nel 2004, progettato da Mario Botta e Jean Nouvel, è il museo d’arte (tradizionale e contemporanea) che ospita la raccolta privata della famiglia Lee: quella che ha fondato e attualmente controlla la Samsung. Il Museo nazionale di Corea, dove si raccoglie il patrimonio storico sopravvissuto ai saccheggi e alle distruzioni dei cinesi e dei giapponesi, dal 2005 ha una nuova sede nella zona di Yongsan: è il sesto più grande del mondo, ha quasi tre milioni di visitatori l’anno, è un enorme parallelepipedo in marmo disposto su tre piani, arioso, armonico, di una bellezza essenziale.

Il DDP (che sta per Dongdaemun Design Plaza) è l’ultimo vanto urbanistico di Seul, inaugurato appena un mese fa in una zona dove tradizionalmente si concentravano i venditori di strada. Tre grandi astronavi disegnate dall’anglo-iraniana Zaha Hadid, un rivestimento esterno composto da 45133 pannelli d’acciaio che di notte creano un effetto luminoso strabiliante. All’interno, negli spazi aperti 24 ore al giorno, corridoi bianchi che corrono senza mai uno spigolo, laboratori e sale museali. L’obiettivo è fare di Seul un centro mondiale del design e della creatività applicata all’industria: dal tessile all’elettronica. Per l’inaugurazione di questo centro l’orgoglio di una mostra dedicata alle creazioni dell’italiano Enzo Mari e il privilegio, tale anche per i coreani, di vedere esposti al pubblico, per la prima volta, i tesori nazionali di Kansong provenienti dalla leggendaria collezione privata di Chun Hyung-pil, tra cui il manoscritto quattrocentesco che contiene l’alfabeto fonetico coreano disegnato da re Sejong e che ancora oggi viene utilizzato.

Da potenza economica, la Corea si sta insomma trasformando in polo culturale: importa mostre e concerti di musica classica, assolda architetti e designer di fama mondiale, ma comincia anche ad esportare mode e stili tipicamente “made in Korea”, a partire dalla musica, con il rapper Psy divenuto un’icona mondiale (due miliardi di visualizzazioni sul sito ufficiale di Gangnam style) e decine di altri gruppi e cantanti che impazzano dalla Cina al Giappone.



L’immaginario degli italiani, provinciale e sciatto, collega la penisola coreana al ricordo negativo di due disfatte calcistiche ai Mondiali: nel 1966 ci eliminarono i coreani del nord, nel 2002 (complice lo scandaloso comportamento dell’arbitro Moreno) quelli del sud. Loro, più curiosi di come va il mondo o semplicemente meno superbi, ricambiano organizzando mostre su Machiavelli e il Rinascimento o mandando i loro giovani a studiare lirica nel Bel Paese. La comunità italiana a Seul conta appena trecento persone, anche se sempre più aziende stanno entrando nel ricco mercato coreano. A livello politico abbiamo rapporti diplomatici da 130 anni e il prossimo autunno, per festeggiare la ricorrenza, verrà in visita di Stato a Roma la presidente Park Geun-hye.



È stata eletta nel 2012 e si è data come obiettivo, come tutti i suoi predecessori, la riunificazione. Il confine della Corea comunista dista appena 50 chilometri da Seul ed è diventato con gli anni un’escursione turistica assai frequentata. La zona demilitarizzata intorno al mitico parallelo 38, è ormai un’oasi ecologica. I coreani del nord scavano tunnel come se davvero fossero pronti ad un’invasione, ogni tanto di sparano colpi di cannone tra i due eserciti schierati, ma l’impressione è quella di un gioco delle parti, se non fosse per l’arma nucleare nelle mani di un esaltato con la faccia da bamboccio. Nei discorsi ufficiali si invoca in continuazione la fine della divisione tra Nord e Sud. Ma basta l’idea di dover sfamare venticinque milioni di bocche per raffreddare l’entusiasmo patriottico. Qui la guerra fredda è destinata a durare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA