Nuova Zelanda, Pastafariani riconosciuti come organizzazione religiosa

Il logo dei Pastafariani
di Giacomo Perra
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Martedì 22 Dicembre 2015, 16:51 - Ultimo aggiornamento: 27 Dicembre, 17:32
Uno scolapasta come copricapo, una sorta di mostro degli spaghetti a cui fare quotidiana riverenza e una fede ormai diffusa in tutto il pianeta e soprattutto, da poche ore, degna di un riconoscimento ufficiale: si chiude bene il 2015 per i Pastafariani, bizzarra comunità spirituale fondata nel 2005 che in Nuova Zelanda ha ottenuto di essere annoverata tra le organizzazioni religiose e di poter ordinare propri sacerdoti. A decretarlo con un atto pubblico, il direttore generale dell’Ufficio Anagrafe di Wellington, Jeff Montgomery, il quale, pur storcendo un po’ il naso per la stravaganza del caso, ha dovuto accogliere  la domanda degli adepti, che parlano come pirati, pensano alla loro bislacca divinità come origine del mondo e credono a un Paradiso dove un vulcano eternamente in attività erutta birra ottima e abbondante senza soluzione di continuità.
 
Al di là delle ironie e delle provocazioni, l’obiettivo che da dieci anni si prefiggono di conseguire è più serio di quanto si pensi: dalla loro nascita, infatti, i Pastafariani, per cui l’unico dogma valido è quello di non avere dogmi, - “non vi sono regole, riti, preghiere o altre sciocchezze, ogni membro può dire la sua in ciò che questa chiesa è e in ciò che diventerà” - lottano per affermare la laicità di ogni Stato e contro il creazionismo, che, secondo loro, non dovrebbe essere insegnato nelle scuole a scapito della teoria dell’evoluzione.
 
Sorta negli Stati Uniti, la comunità, ormai diventata a tutti gli effetti una Chiesa, nel tempo ha guadagnato sostenitori in tantissimi altri Paesi, tra cui la Germania e, appunto, la Nuova Zelanda. Nella nazione oceanica, dove sono balzati prepotentemente agli onori delle cronache negli ultimi giorni per la loro ultima trionfale missione, i Pastafariani sono celebri anche per un’altra clamorosa battaglia vinta: quella per il diritto a farsi immortalare nelle foto destinate a passaporto e patente con l’amato ed eccentrico cappello in testa.
 
 
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