L'anno scorso - nel pieno dell'incubo Dad - ci eravamo dovuti inventare anche questa: trovare un primo piano di nostro figlio, che fosse il più possibile uguale agli altri, e inviarlo alla scuola per poter realizzare così una foto di classe (a distanza). I visi della prima B o della quarta E incollati l'uno accanto all'altro grazie alla tecnologia, la stessa che li ha tenuti vicini - seppur lontani - nel complicato anno della pandemia.
Quest'anno, soprattutto nelle classi dei più piccoli, la foto di classe, simbolo che affonda nella notte dei tempi, è tornata, seppure in modalità diversa: ogni scuola ha scelto come riproporre quel momento di socialità imperdibile per generazioni di studenti. Con o senza mascherina, in giardino, distanziati un metro l'uno dall'altro, seduti sui gradoni con i posti numerati a terra e divisi in due gruppi per poi riunire l'intera classe grazie a Photoshop. Il Covid, insomma, ha ridisegnato i confini delle nostre relazioni e anche i nostri ricordi. Chi non ha infatti conservato in qualche cassetto la propria foto di classe? Quella che ci ha ritratto nel cortile della scuola, nei corridoi larghi e con i soffitti alti, nelle aule colorate, raggruppati intorno alla cattedra e all'insegnante. I più alti sempre dietro, i piccoletti davanti. Sempre vicini, seduti o in piedi, gomito a gomito, spalla a spalla. Un mosaico di sentimenti, respiri, simpatie e gomitate per conquistare il posto vicino all'amico del cuore o all'amore del momento. Un rito emotivo irrinunciabile di cui tutti siamo stati protagonisti.
VIRTUALE
E ora? La pandemia ha stravolto anche quel simbolo che non è solo un pezzo di carta, ma parla di un'esperienza di vita.
Eppure è proprio quella simbolica foto di classe che ferma l'attimo, l'infanzia e la giovinezza, che parla di relazioni consumate dal vivo, voglia di stare insieme, di diventare comunità. Basterebbe citare la celeberrima foto di classe del presidente del Consiglio Mario Draghi che annoverava tra i suoi compagni Montezemolo, Magalli e Luigi Abete, eccellente strumento per analizzare le radici e il carattere dell'uomo, per capire quanto sia importante una tradizionale istantanea scolastica. La riprova è arrivata giorni fa quando Bruno Vespa ha parlato della foto che lo ritrae, alle elementari a l'Aquila, con Giorgio Pietrostefani, condannato per l'omicidio Calabresi e ora in libertà vigilata di Francia dopo il via libera del presidente Macron all'estradizione. «La fine della foto di classe tradizionale è una perdita di civiltà - ha detto Vespa - Così si cancella la memoria di una stagione importantissima della vita. Viviamo nell'attimo, tutti collegati nel tempo reale, ci affidiamo alla Rete, ma poi? Poi si perde la vita. La foto di classe del presidente Draghi è molto significativa: ben più in basso, si arriva alla mia foto con Pietrostefani. Tutte testimonianze che ci parlano». E quelle di oggi ci parlano di un tempo che nessuno dimenticherà.