In pratica un trattamento basato sull’uso di un fascio di radiazioni, spesse poco più di mezzo millimetro, che riescono a tagliare le fibre nervose che, all’interno del cervello, trasmettono le scariche elettriche che provocano gli attacchi epilettici, bloccando in questo modo il propagarsi della crisi.
Rispetto alla classica e collaudata terapia farmacologica, questo trattamento, basato sull’uso di acceleratori di particelle, può rappresentare una valida alternativa per quei pazienti (che sono il 30-40% del totale) su cui i farmaci non hanno effetto.
Rispetto poi alla chirurgia, ha il vantaggio di non essere invasivo e quindi risulta privo di rischi di danni neurologici per il paziente.
Pantaleo Romanelli, direttore scientifico del Cyberknife Centre del Centro Diagnostico Italiano di Milano, responsabile scientifico del convegno e autore di studi su questa tecnica, sottolinea però che, sebbene sia un trattamento che «può avere applicazione non solo sull’epilessia ma anche su un’ampia gamma di disordini neuropsichiatrici, si tratta comunque di una sperimentazione di laboratorio e non ancora di una terapia disponibile nella pratica clinica».
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