«La malattia di Alzheimer a esordio giovanile include principalmente le forme familiari che presentano una notevole compromissione della memoria episodica - spiega Salvatore Cuzzocrea, professore ordinario di Farmacologia all'Università di Messina - Rispetto ai malati di Alzheimer in età senile, le persone affette da Alzheimer precoce sono meno colpite da malattie cerebrovascolari, renali e cardiache. Anche se il minimo comune denominatore è lo stesso, tra le caratteristiche cliniche proprie dei pazienti con malattia giovanile ritroviamo deficit delle funzioni esecutive e deficit della produzione verbale, che si associano alla perdita della memoria a breve termine. Alcuni pazienti presentano poi un'importante compromissione del processo visivo di individuazione e percezione degli oggetti». In questo contesto risulta quindi molto importante una diagnosi precoce, con la possibilità di aprire a trattamenti farmacologici in grado di ritardare l'esordio della malattia.
«Numerose evidenze oggi dimostrano un'associazione tra malattie neurodegenerative, in particolare malattia di Alzheimer, e neuroinfiammazione che può avere inizio tempo prima che si abbia una perdita significativa della popolazione neuronale - spiega l'esperto - Il processo neuroinfiammatorio è caratterizzato da interazioni di tipo immunitario che determinano l'attivazione di microglia, astrociti, mastociti residenti nel sistema nervoso centrale, citochine, chemochine e relativi processi molecolari.
L'attivazione di questo pool di cellule non-neuronali rappresenta la vera causa del danno degenerativo a carico del neurone».
Controllare la neuroinfiammazione cerebrale potrebbe dunque preservare la memoria nei soggetti affetti da Alzheimer. «L'insorgenza di fenomeni neuroinfiammatori rappresenta dunque un primo campanello d'allarme e nel contempo una finestra temporale sulla quale iniziare ad agire - prosegue Cuzzocrea - Recenti studi hanno sottolineato come la molecola PeaLut (ultramicrocomposito PeaLut, palmitoiletanolamide co-ultramicronizzata con Luteolina) sia in grado di modulare l'azione delle cellule non-neuronali e l'effetto dello stress ossidativo migliorando le funzioni cognitive e i disturbi comportamentali dei pazienti. Da ciò consegue che il moderno intervento terapeutico deve focalizzarsi su rimedi in grado di contrastare la neurodegenerazione modulando l'attivazione delle cellule non-neuronali residenti nel sistema nervoso centrale».
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