Padre Lucio Zappatore: «Quella volta che feci dire “volemose bene” a Giovanni Paolo II»

Padre Lucio Zappatore
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Venerdì 25 Aprile 2014, 15:37 - Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 20:23
E’ il parroco di Santa Maria Regina Mundi a Torre Spaccata, ma nel tempo libero si diletta a scrivere poesie nella lingua di Trilussa e gli riesce anche bene. Lo sa Papa Francesco, l’ultimo al quale abbia dedicato una poesia. Lo sapeva anche Giovanni Paolo II, che messo alla prova proprio da padre Lucio Zappatore durante l’incontro con il clero romano, il 26 febbraio 2004, fece il suo esordio con il dialetto dei romani.



“Damose da fa. Volemose bene. Semo romani”. «L’anno prima il Papa disse a noi parroci che aveva fatto il conto di essere più romano che cracoviense, perché era da 24 anni vescovo di Cracovia e da 25 vescovo di Roma – ricorda Padre Lucio -. Così mi è nata l’idea di chiedergli di parlarci in romanesco. Portai anche un’altra motivazione al Papa, e cioè che ogni volta che andava a visitare un Paese all’estero, faceva un saluto nella lingua locale, per entrare ancor di più nel cuore delle persone. Allora, perché no anche ai romani?».



La domanda era improvvisata e creò qualche imbarazzo alle spalle del Papa che sembrava piuttosto divertito da quella provocazione. «Notai un po’ di trambusto, dietro al Papa si sono subito allertati, perché di solito le domande che le persone gli rivolgono in udienza sono concordate con la Prefettura Pontificia. La mia richiesta, invece, non era prevista. Poco dopo gli passarono un foglio – ricorda padre Lucio - e lui scelse le tre frasi che tutti ricordiamo: “Damose da fa. Volemose bene. Semo romani”.



Giovanni Paolo II e lo scapolare della Madonna del Carmelo. Padre Lucio ci riceve a Terra Carmeli, a due passi dal Vaticano, su via della Conciliazione, accanto alla parrocchia di S. Maria in Traspontina: un piccolo luogo che raccoglie testimonianze della devozione di Giovanni Paolo II per la Madonna del Carmelo. Che il Pontefice vi fosse molto affezionato è testimoniato da una vecchia foto che lo ritrae giovane operaio nelle miniere di Cracovia, con indosso, sul torso nudo, lo scapolare, il piccolo abito, poco più di una striscia di stoffa, che riproduce quello indossato dai carmelitani, che si porta al collo. «Sapevamo che Giovanni Paolo lo indossava sempre e, infatti, anche il giorno dell’attentato, 13 maggio 1981, il suo scapolare è rimasto insanguinato, tanto che il giorno dopo ce ne vennero a chiedere un altro pulito. Il Papa diceva che la Madonna di Fatima, che si celebra il 13 maggio, aveva deviato il colpo, io aggiungo che quella del Carmelo ha tamponato la ferita.





Ar Papa nostro, gajardo e tosto!



Padre Lucio è conosciuto non solo per l’episodio del romanesco, ma si è fatto apprezzare sia da Benedetto XVI che da Francesco per le sue poesie dialettali dedicate proprio ai papi.



Celebre quella per Giovanni Paolo II: “Ar papa nostra, gajardo e tosto!”, che nel video recita apposta per noi.



Ciài lassati così, a poco a poco,

sempre più curvo in quer vestito bianco.

Fino all’urtimo hai fatto véde er foco

ch’ardeva drento ar core tuo, mai stanco.



Quanno ch’hai dato er pugno sur leggìo,

perché nun ce riuscivi più a parlà,

se semo messi tutti a pregà Iddio,

che te facesse ancora un po’ campà.



Ciài visto ‘n quela piazza? Che rimpianto!

Ce bastava sapé che stavi lì:

saressimo restati nun sai quanto,

pe’ fatte compagnia e facce sentì.



Ma mo te ne sei annato veramente,

e ce resta quer: “damose da fà”!

Tu nun ciài detto “dateve”, ma in mente,

te vorzi mette in mezzo p’ aiutà.



Io penzo che l’hai detto a sta magnera,

sapenno che la strada de quaggiù,

sarebbe stata certo più leggera,

si ‘n mezzo a noi ce stassi puro Tu!
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