La lapide per Ciro è senza pace, la colpa è del tifo malato e violento

di Paolo Graldi
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Venerdì 10 Giugno 2016, 08:23
La travagliata storia della targa, (una poesia garbata e intensa), per ricordare la tragica morte di Ciro Esposito deve far riflettere. Supera il lampo di una notizia di cronaca. Collocata senz'enfasi nel giorno della condanna del suo assalitore, appena a un palo a Tor di Quinto, là dove il giovane tifoso del Napoli venne gravemente ferito con un colpo di pistola, per fissarne affettuosamente la memoria; bene, qualcuno si è dapprima incaricato di imbrattarla con una vernice rossa: un gesto vigliacco, stupidamente inutile.

Poi, la targa era sparita del tutto e s'è scoperto che un tifoso del Verona l'aveva presa per ripulirla. Intanto, gli amici di Ciro ne avevano collocata un'altra, copia perfetta, sparita anche quella, oltraggio aggiunto, collegato forse al ferimento di un tifoso giallorosso sabato scorso proprio a Napoli. Una guerriglia di gesti ostili che non sembra placarsi ma, anzi, rischia di nutrirsi della logica del colpo su colpo e che, ancora una volta, purtroppo, dimostra il persistere pernicioso di un tifo malato, ossessivo, violento. Ciro non era un eroe, semmai una vittima senza colpa, come ha dimostrato il processo. Ricordarlo, con parole che potevano anche non piacere, era tuttavia un modo rispettoso e rispettabile. Forse una lapide improvvisata e posticcia non aiuta a sanare ferite senza idee e senza ideali. Basterebbero qui le parole della madre: basta odio, basta. Un materiale, l'odio liquido e diffuso, che non distingue tra vittime e carnefici.
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