Vivere a Roma, la città senza marciapiedi

Vivere a Roma, la città senza marciapiedi
di Pietro Piovani
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Giovedì 14 Dicembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 04:21
Nel mio quartiere addirittura
i marciapiedi non ci sono
proprio, bambini e disabili devono
dribblare le auto e nessuno protesta più
@Rinascimentorom


Un tempo si diceva che il grado di civiltà di un popolo si misura dalla quantità di fontane pubbliche presenti nelle sue città, cosa probabilmente vera finché l’acqua corrente non è arrivata nei rubinetti di tutte le case. Nel mondo di oggi probabilmente un parametro più indicativo potrebbe essere lo spazio riservato ai marciapiedi, e se è così allora Roma può essere considerata a tutti gli effetti una città del terzo mondo.

In realtà i marciapiedi ci sarebbero, talvolta anche discretamente larghi, se non venissero utilizzati per scopi impropri. Servono infatti alle macchine per parcheggiare, ai motorini per sgommare, ai ristoratori per ristorare, alle bancarelle per bancarellare, ai cani per defecare e un po’ a tutti per depositare i rifiuti che (per evidenti ragioni di capienza) non è possibile scaricare nei cassonetti. Servono insomma a mille funzioni, magari anche importanti, ma certo non a quella per la quale in teoria sarebbero nati, quella funzione che contengono persino nel loro nome: consentire agli esseri umani di marciare, di camminare, di correre volendo, e perché no anche di avanzare in carrozzina se si è disabili.

Nella storia di questa città tutti i sindaci hanno sempre promesso di liberare le strade dal traffico, ma in tanti anni non ci sembra di ricordare nessun sindaco (o aspirante tale) che abbia assunto l’impegno di liberare i marciapiedi per restituirli ai nostri piedi. Forse perché noi cittadini-elettori siamo i primi a non tenerci più di tanto, avendo a cuore soprattutto le nostre auto da parcheggiare e i nostri cani da far defecare.

pietro.piovani@ilmessaggero.it
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