Se il gabbiano è una specie protetta allora perché non il topo?

di Pietro Piovani
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Mercoledì 9 Aprile 2014, 22:19 - Ultimo aggiornamento: 14 Gennaio, 16:41
Gabbiani che bussano sulla finestra dell'ufficio. Solo a #Roma
@sicilianicreati


Quanto ancora dovrà crescere la popolazione di gabbiani a Roma prima che ce ne cominceremo seriamente a preoccupare? In fondo non è passato tanto tempo da quando i più coraggiosi penetrarono all'interno della città risalendo il corso del Tevere. Ora ce li ritroviamo sul terrazzo di casa, assai meno mansueti dei fenicotteri di Sorrentino, pronti ad approfittare di una nostra distrazione per calare sulle tavole apparecchiate e rubare dai nostri piatti.

Se il Santo Padre si è visto massacrare una povera colomba liberata dalle finestre di San Pietro, più modestamente a noi del Messaggero è successo l’altro giorno di subire il furto di una fetta di colomba pasquale lasciata incustodita per pochi secondi su un balcone del Tritone. In Vaticano per risolvere il problema hanno arruolato un falco, ma l’idea di far sorvolare l'intera città da stormi di rapaci ammaestrati non sembra praticabile. I gabbiani sono come i prati verdi: visti da vicino sono molto meno belli e puliti di come appaiono da lontano. Non c’è niente di poetico nell'incontrare uno di questi tacchini obesi, appollaiato sul tetto di un’automobile, mentre spolpa il cadavere di un piccione.

Si calcola che a Roma ce ne siano ormai 50 mila. Dicono che si tratti di una specie protetta, ma in verità la legge del ’92 non include il gabbiano reale tra gli animali tutelati. Dicono anche che limitarne la riproduzione è difficile, e probabilmente sarà vero. Certo non aiutano iniziative come quelle della Lipu, la Lega italiana protezione uccelli, che di recente ha curato alcuni esemplari malati per poi rimetterli in libertà. A questo punto perché non istituire anche un pronto soccorso veterinario per ratti? Sono pur sempre mammiferi.

pietro.piovani@ilmessaggero.it