Privé, e l’isola felice diventò un recinto

di Marco Pasqua
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Lunedì 31 Luglio 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 13:42
Gente che a 30 anni si sente “arrivata” perché si tagga in un prive’ di una discoteca...
@M86UK


La chiamano razionalizzazione degli spazi. Risponde, quasi sempre, a quell’umana esigenza di massimizzare i profitti, anche nel mondo della nightlife: da qualche tempo si è abbattuta come una scure su certi privé, le zone riservate al pubblico pronto a pagare dai 150 euro in su per una bottiglia. Sono delle piccole isole felici, con un numero ridotto di accessi che danno l’illusione di far parte di una élite privilegiata, marchiata da un bracciale che è sinonimo di status symbol. Ma l’ultima tendenza deleteria di queste aree ha portato alcuni locali (anche dell’Estate romana) a creare, al loro interno, degli spazi ancora più esclusivi, che ricordano tanto i recinti per polli: questi “super-privè”, generalmente attaccati al palco, sono suddivisi in mini-aree riservate, delimitate il più delle volte dai nastri che si vedono ai check in degli aeroporti o negli uffici postali. Molto poco glam, certamente utili a separare - con scarsa eleganza - il pubblico (stra)pagante.

E, dal momento che grandezza è, quasi sempre, sinonimo di opulenza, ecco scattare la gara a chi si è aggiudicato il recinto più grande. Così, via agli sguardi indagatori all’indirizzo del vicino, per valutare la grandezza della bottiglia e il numero dei suoi ospiti (più sono e più si è pagato), in una gara tardo-adolescenziale a chi ostenta meglio la propria condizione di benessere. E la stratificazione sociale del divertimento tocca anche i saluti che il vocalist dal palco può rivolgere ad un selezionatissimo numero di ospiti al microfono: un privilegio riservato solo a chi occupa il gradino più alto nella piramide della notte.

marco.pasqua@ilmessaggero.it
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