«Fontana di Trevi? The second a destra»

di Raffaella Troili
2 Minuti di Lettura
Mercoledì 3 Settembre 2014, 00:37 - Ultimo aggiornamento: 08:04
- e ad inglese come

siamo messi?

- beh, ho fatto parecchi

corsi fool immersion


@bon1z



Scritti eccellenti, voti ottimi, pronuncia perfetta come la sintassi. Ecco: tutte chiacchiere e pura teoria. Perché basta un Where is Fontana di Trevi? piazzato lì a tradimento tra pensieri e corse, per far calare la nebbia - ma c’è anche un po’ d’indolenza romana - sulle decine di corsi e i decennali studi della lingua inglese. Eppure non si tratta di affrontare un discorso da premier (vedi le parodie suscitate on line a luglio dall’intervento di Renzi), le domande dei turisti che vagano in centro sono più o meno sempre le stesse: piazza di Spagna, Pantheon, metro station, Barberini, Termini, Fontana di Trevi, appunto.



Quanto alle risposte sembrano ogni volta l’esame della vita. C’è chi adotta un elementare quanto pratico ed efficace linguaggio: «two street, two left, two minute», accompagnato da gesti essenziali per la comprensione; chi sfoggia un angloitaliano indecoroso, del tipo «the second a destra»; chi pensa davvero che parlando in italiano scandendo lentamente le parole e fissando lo straniero riesca a farsi capire.



Edicolanti, baristi, vigili sono i più bravi, sommersi ogni giorno da centinaia di richieste di cinesi, russi, spagnoli, alcuni dei quali pretendono anche risposte nella loro lingua. Altri snocciolano un inglese perfetto e fluente: come quei russi, padre e figlia ventenne, che ad agosto discutendo tra loro su chi aveva ragione, chiedevano lungo via del Tritone dov’era «la tower di Pisa». Trecentosessanta chilometri, troppi da spiegare, pure per quanti, ancora pochi, hanno superato l’avversione per la lingua.



raffaella.troili@ilmessaggero.it